Un brutto accordo e il leader europeista
È un accordo brutto, bruttissimo, degno di un’eurozona ancora più brutta, addirittura repellente e raccapricciante. A immagine e somiglianza, si direbbe, di Wolfgang Schauble, il politico più popolare in Germania in questi giorni.
Alla fine, però, questo fine settimana di passione non ha prodotto soltanto bruttissimi compromessi e infami ricatti. Ha avuto anche il grande merito di far cadere la maschera dell’ipocrisia. Ha fatto vedere a tutti, ma proprio a tutti (esclusa la distratta stampa italiana) che l’Unione europea sta cambiato natura, radicalmente e velocemente. Da spazio di libertà, di democrazia e di solidarietà è diventata feudo della classe dirigente tedesca. Da libera unione di stati e popoli, a impero tedesco che punisce con il ferro e il fuoco le provicnie ribelli.
Ringraziamo Alexis Tsipras di avercelo rivelato. Se non ci fosse stato lui, il primo e finora unico premier europeo a osare alzare la testa di fronte alla barbarie neoliberista, saremmo ancora oggi qui a cullarci con il «Manifesto di Ventotene». Di fronte ai tanti errori e ingenuità mostrati del premier greco durante questa lunga e disperata negoziazione, diamogli questo grande merito.
Ora lo possiamo dire a ragione veduta: durante le lunghe trattative con i creditori, Tsipras e Varoufakis hanno giocato una partita truccata, che non potevano mai vincere. È stato un errore. Ma lo sappiamo solo adesso che Schauble ci ha mostrato il suo vero volto.
Lo potevamo sospettare? Sì, e su questo Tsipras si è dimostrato ingenuo e impreparato. Da più di un anno ripeteva che non aveva un piano B ed era sincero. Fin dal primo momento, il leader di Syriza non ha neanche pensato a un’uscita dall’eurozona. Al punto da costringere Berlino a perdere la pazienza e chiedere apertamente l’espulsione della Grecia.
Nell’escludere l’uscita dall’euro, Tsipras ha seguito la chiara e manifesta volontà del popolo greco, ma ha anche seguito le sue personali convinzioni di europeista fino in fondo.
Alla fine, la lezione che abbiamo incassato (non solo i greci, ma tutti gli europei), è che per rimanere nell’eurozona bisogna sottomettersi all’austerità più selvaggia. Ha ragione il Corriere della Sera: non c’è scritto da nessuna parte, ma il neoliberismo predatorio è ormai «regola» dell’eurozona, Costituzione materiale.
L’accordo firmato ieri da Tsipras ha anche alcuni aspetti positivi: denaro fresco e un impegno a ristrutturare il debito. Per il resto, avrà conseguenze devastanti sulla politica greca.
Il primo sarà un cambio della maggioranza. È molto probabile che la componente di sinistra di Syriza si rifiuti di votare in Parlamento le nuove misure di austerità e già si parla dell’ingresso nella maggioranza del partito di centrosinistra To Potami di Stavros Theodorakis.
Il che porrà una seria ipoteca su ogni ipotesi di lotta alla plutocrazia interna: To Potami è stato ideato, creato, finanziato e diretto dal «signore degli appalti» in Grecia. Ma forse anche To Potami non basterà e bisognerà imbarcare anche i socialisti del Pasok, responsabili della bancarotta greca, il partito della corruzione e della clientela. Quali riforme vere sarà possibile fare con personaggi del genere?
I greci già si preparano ad assistere a scene che credevano di aver esorcizzato per sempre. La consegna al giudizio del Parlamento di massicci disegni di legge scritti in inglese e malamente tradotti con Google, raggruppati in un unico articolo e votati in fretta e furia senza alcuna discussione, perché i nostri gentili creditori non amano le lunghe discussioni in Parlamento. Anzi, è proprio il Parlamento che gli sta antipatico, «non ispira fiducia», per usare il loro linguaggio.
Si intravvede, in fondo, anche l’eventualità di una scissione di Syriza, con Varoufakis e la dinamica presidente del Parlamento Zoi Konstantopoulou pronti ad assumere la leadership della «vera sinistra». Si tratterebbe di un ritorno al decennio precedente, allo Syriza duro e puro del 4 per cento dei consensi.
La verità è che Tsipras rimane tuttora il primo leader politico del paese, con consensi infinitamente maggiori a tutti gli altri. I greci hanno compreso il suo sforzo e apprezzato la lotta che ha condotto, anche se alla fine ha dovuto fare gravissimi passi indietro.
Non si è dimesso, perché ha ritenuto giustamente che le sue dimissioni sarebbero state interpretate come un gesto di viltà, come un tentativo di scaricare le sue responsabilità sui suoi successori. È rimasto a prendersi sulle sue spalle tutto il peso di un pessimo accordo.
Tsipras non è un vile. E non è un venduto. È il capo di un governo che ha tentato la via autenticamente europea ed è stato crudelmente bloccato e represso. Il suo tentativo è per il momento fallito, ma è riuscito a scongiurare l’espulsione del paese dall’eurozona e, soprattutto, sa oramai con chi ha a che fare.
Come lo sanno tutti in Europa. Per il momento, l’offensiva greca contro il neoliberismo è stata respinta con perdite. Ma la causa è giusta e altri giocatori si preparano a entrare in campo.
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