Tortura, Strasburgo condanna la Grecia
Questa volta Alexis Tsipras non c’entra nulla, l’Europa non se la può prendere con lui per la condanna ricevuta a Strasburgo il 25 giugno scorso. Quando sono successi i fatti che hanno portato alla sentenza della Corte Europea dei diritti umani eravamo in un’altra era politica, il premier greco di allora era infatti George A. Papandreou. La Grecia è stata condannata per avere violato l’articolo 3 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti umani che proibisce la tortura e ogni altra forma di trattamento inumano o degradante.
I fatti risalgono al maggio del 2011 e nella loro crudezza costituiscono un manifesto di quanto gli Stati siano diventati crudeli nel trattare le persone che affrontano un percorso di migrazione. In questo caso si trattava di un signore che proveniva dall’Ucraina. Era un autista che lavorava per conto di un’azienda di trasporti polacca. Viene arrestato il 10 maggio del 2011 dalla polizia di frontiera a Igoumenitsa; è accusato di avere aiutato ben 46 immigrati afghani, pachistani e iracheni a superare il confine greco. Inizia così la sua odissea.
Purtroppo il suo non è un caso isolato; è un caso paradigmatico di come le autorità greche hanno funzionato da sentinelle truci dell’Europa occidentale. Viene condotto in una camera di sicurezza della caserma di Igoumenitsa e ristretto in una cella di nove metri quadri con altre sette uomini, tutti fumatori, nonostante lui avesse segnalato di avere seri problemi ai bronchi. Vi trascorre poco più di due settimane. Il 26 maggio del 2011 viene trasferito nella prigione di Ioannina. Questa volta la cella è più grande, ben 35 metri quadri, ma la condivide con ben 34 persone. Per poco meno di quattro mesi vive dunque in un metro quadro. Siamo in Grecia dove il caldo si fa sentire. Ci si può immaginare come vivessero quelle persone stipate senza avere possibilità mai di stare in piedi contemporaneamente.
A settembre viene trasferito nel carcere di Korydallos. Qui le condizioni migliorano ma di molto molto poco. La cella è di otto metri quadri e i detenuti in tutto sono quattro. Ognuno di loro ha due metri a testa. Le sue condizioni di salute peggiorano ma non gli è consentito di essere mai visitato da un medico in questo periodo. Nel frattempo arriva la condanna per trasporto illegale di immigrati e per avere violato la legge sull’immigrazione. Nella primavera del 2012 viene trasferito nella prigione di Corfù. Viene messo in una cella di poco più di sei metri quadri da dividersi in quattro detenuti. I letti sono solo due. L’acqua potabile è a pagamento così come la carta igienica. Per avere una medicina da lui ritenuta urgente ha dovuto aspettare ben quattro mesi.
La sua storia finisce con la liberazione nel settembre del 2014. Trova la forza e un avvocato per scrivere alla Corte dei diritti umani. Il sistema carcerario greco dunque finisce sotto inchiesta europea, non solo per il sovraffollamento ma più in generale per l’assenza di condizioni dignitose di vita. Ad esempio nella prigione di Korydallos oltre all’affollamento insostenibile vi era una situazione igienico-sanitaria durissima da sopportare: le celle non disponevano di acqua calda e un intero reparto era senza docce. Durante i suoi tre anni di galera il signore ucraino ha sostanzialmente oziato. Mai traccia di un progetto lavorativo o educativo in cui è stato coinvolto.
In Grecia oltre il 60% dei circa 12 mila detenuti è di nazionalità straniera. La sentenza del 25 giugno non è una sentenza pilota, come quelle subite invece negli ultimi mesi da Bulgaria e Ungheria, entrambe condannate per gli effetti devastanti prodotti dal sovraffollamento carcerario, sull’onda di quanto era avvenuto un anno e mezzo prima in Italia nel caso Torreggiani.
La sentenza che riguarda la Grecia dunque non costringe il governo ellenico a mettere mano in modo sistemico a riforme che durino nel tempo così come è avvenuto da noi o come dovrà avvenire in Bulgaria e Ungheria. In ogni caso la decisione di Strasburgo racconta una storia esemplare del trattamento disumano riservato a chi aveva la sventura di finire nelle maglie della giustizia greca. Un trattamento che diventava ancora più duro nei centri per immigrati.
Lo scorso febbraio 2015, all’indomani della sua elezione, Alexis Tsipras ha annunciato di chiudere il centro di identificazione per immigrati di Amygdaleza, alle porte di Atene, tristemente noto per le violenze che vi avvenivano e per il degrado in cui versavano le migliaia di persone che vi facevano ingresso durante l’anno.
Lo scorso aprile il Comitato europeo per la prevenzione della tortura ha visitato caserme, centri per migranti e prigioni greche, comprese alcune carceri dove era stato recluso il signore ucraino che ha vinto la causa a Strasburgo. Nei prossimi mesi vedremo quali saranno le osservazioni degli ispettori europei e se le condizioni di vita nelle carceri e in quel che resta dei centri per migranti saranno complessivamente cambiate oppure no.
*presidente Antigone
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