Perché dobbiamo molto alla Grecia

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L’Unione euro­pea, figlia delle comu­nità che ave­vano carat­te­riz­zato la vita economico-politica del nostro con­ti­nente dopo la seconda guerra mon­diale, ha avuto fin dall’inizio un’impostazione mer­can­tile. Chi sa se que­sta parola, così espli­cita, verrà per­do­nata all’autore di quest’articolo; eppure essa è pro­prio una foto­gra­fia dello spi­rito ini­ziale del pro­getto euro­peo, che prese l’avvio nel secondo dopo­guerra con una Comu­nità euro­pea del car­bone e dell’acciaio (1957). Il pro­blema, allora, era quello di faci­li­tare gli scambi, che avreb­bero favo­rito la rico­stru­zione e lo svi­luppo del con­ti­nente. Ma era anche quello d’impedire che car­bone e acciaio, allora stru­menti basi­lari per fare la guerra, restas­sero sotto il con­trollo esclu­sivo dei pochi stati che li possedevano.

Il col­lante di carat­tere mer­can­tile, natu­ral­mente trovò ragione di farsi più forte quando, in un’altra metà dell’Europa, venne a con­so­li­darsi l’influenza poli­tica ed eco­no­mica dell’Unione sovie­tica. Dun­que da una parte la sfida del libero mer­cato che attra­verso gli accordi euro­pei veniva a con­so­li­darsi; dall’altra il blocco dell’economia col­let­ti­vi­stica d’impronta e guida sovietica.

Una impo­sta­zione invece che fosse euro­pea ma di carat­tere poli­tico, e che in pro­spet­tiva avesse un’unione di tipo con­fe­de­rale, allora non ci fu, anche se nei pro­getti dei padri ispi­ra­tori era stata molto forte. Allora, quello non sem­brava un pro­blema, né poli­tico né ideo­lo­gico. Si deve anche ricor­dare che i padri ave­vano tutti un’impostazione ideologico-politica di stampo libe­rale, e dun­que un pro­getto euro­peo che andasse avanti in quel modo, era rite­nuto sod­di­sfa­cente. Punto essen­ziale fu per­ciò nel dopo­guerra quello di ren­dere sem­pre più forte un rap­porto di carat­tere mer­can­tile, che ser­visse da anti­doto a guerre future. E che si con­trap­po­nesse soprat­tutto alla poli­tica di socia­li­smo reale che per­meava l’altra metà del con­ti­nente. Diciamo, per sem­pli­fi­care la rap­pre­sen­ta­zione di que­sta situa­zione nei rap­porti inter­na­zio­nali, che la parte libe­rale guar­dava agli Stati Uniti come fonte d’ispirazione poli­tica, ideo­lo­gica e di scambi; e i paesi dell’Europa orien­tale, invece, guar­da­vano verso l’Unione sovie­tica. Natu­ral­mente, sia gli uni che gli altri, subi­vano abbon­dan­te­mente i con­di­zio­na­menti dei rispet­tivi punti di riferimento.

Date que­ste pre­messe for­te­mente pola­riz­zate, di unione poli­tica dell’Europa, date le con­tin­genze inter­na­zio­nali e il punto di par­tenza, non si è par­lato più. Anzi, sono cre­sciute gene­ra­zioni di super­bu­ro­crati della Ue, ai quali sono stati affi­dati i posti al ver­tice dell’Unione euro­pea. I poteri di que­sti super­bu­ro­crati, mediante deci­sioni for­mali pro­mosse da essi mede­simi negli organi che «occu­pa­vano» (il verbo non è impro­prio, per­ché eletti essi non lo sono stati mai), sono cre­sciuti a dismi­sura. Si è lasciato che gover­nas­sero l’intero con­ti­nente, mediante rego­la­menti impo­sti al di fuori di ogni pro­ce­dura demo­cra­tica (lo ha riba­dito Yanis Varou­fa­kis venerdì su Die Zeit). La strut­tura della Ue ha acqui­stato sem­pre più potere, nes­suno ha più pen­sato di met­terne in discus­sione le lacune di demo­cra­zia nel suo fun­zio­na­mento. Nes­suno ci ha pen­sato più. Natu­ral­mente i ver­tici non demo­cra­tici dell’Unione hanno pre­teso sem­pre più potere; al loro interno si sono impo­sti i voleri degli stati eco­no­mi­ca­mente più potenti, fin­che si è arri­vati al punto attuale di rot­tura, in cui non si può più nep­pure par­lare di «stati che con­tano»: chi conta è solo la Ger­ma­nia. Che attra­verso la for­ma­zione men­tale di molti suoi diri­genti si tira die­tro anche difetti anti­chi.
È natu­rale che una impo­sta­zione di potere del genere cui si è accen­nato, dopo il geno­ci­dio e lo stra­zio della seconda guerra mon­diale dovesse sem­brare un grande passo avanti. Sem­brò una strada di pace, e sem­brò uno stru­mento utile da non lasciarsi sfug­gire. C’erano enormi pro­blemi pra­tici di nuova edi­fi­ca­zione degli scambi che nes­suno era stato capace di risol­vere altri­menti; c’era la pos­si­bi­lità di costruire un mer­cato di dimen­sioni con­ti­nen­tali. Forse non c’erano ancora gli stru­menti, e la men­ta­lità, per mirare a pro­spet­tive ideali ampia­mente demo­cra­ti­che; era più sem­plice sol­le­ti­cando inte­ressi meno ampi, sotto la guida di appa­rati fal­sa­mente demo­cra­tici.
Fin­ché non ci si è accorti, all’improvviso, che da un pic­colo paese, con un red­dito com­ples­sivo di poco conto, con una disoc­cu­pa­zione immensa, con un’economia fatta di piro­scafi e di atti­vità tutte minori, insi­gni­fi­canti, l’intero impianto euro­peo veniva messo in discus­sione. Quello stato, dopo avere subìto una dit­ta­tura atroce, afferma sem­pre più il valore della demo­cra­zia e del fare poli­tica (il che vuol dire anche avere dei par­la­men­tari che non votano tutti allo stesso modo, come s’usa da qual­che altra parte), e dice con forza che nella Ue ci vuole stare, ma a con­di­zioni che diventi demo­cra­tica. Occorre avere pazienza per i debiti; ma l’Europa deve invece inco­min­ciare a discu­tere subito della demo­cra­zia al suo interno. E un con­ti­nente intero non può essere domi­nato da una superpotenza.



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