Memo­ria e coscienza collettive sospese tra rabbia e incertezza

by redazione | 4 Luglio 2015 9:30

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In que­ste ore dif­fi­cili qui in Gre­cia il clima di polosi (la ten­sione), insieme alla pre­oc­cu­pa­zione, al timore per il giorno dopo, alla spe­ranza insieme alla grinta e alla ras­se­gna­zione si sovrap­pon­gono creando un «vul­cano» di sen­ti­menti e pen­sieri con­tra­dit­tori per i greci. Che si sca­ri­cano in ogni discus­sione, stru­men­ta­liz­zata dai cen­tri di potere media­tici vicini ai con­ser­va­tori e al Pasok (socia­li­sti) per ser­vire un «sì» ambi­guo (insieme all’Europa e alla resa) con­tro un chiaro «no» ad una pro­po­sta (giá sca­duta) dei creditori.

La memo­ria col­let­tiva, a seconda dell’etá di cia­scuno, dei rac­conti da fami­liari, la cono­scenza della sto­ria e il pro­prio vis­suto, si risve­gliano per rac­con­tare periodi altret­tanto dif­fi­cili, pieni di dolore e di scon­tri. C’è chi ricorda la «cata­strofe» dell’Asia minore negli anni ’20 e l’ esodo di cen­ti­naia di migliaia di greci, ster­mi­nati e cac­ciati via da Kemal Ata­turk, il fon­da­tore dello stato turco, per diven­tare poi pro­fu­ghi affa­mati ma col­tis­simi e cit­ta­dini di seconda cate­go­ria ad Atene e Salo­nicco; c’è chi parla dell’ occu­pa­zione nazi­sta, del grande «no» (oxi) al fasci­smo e poi della scon­fitta della resi­stenza e della sini­stra greca dopo una san­gui­nosa guerra civile che ha ster­mi­nato il Paese — anche allora i «libe­ra­tori» inglesi ave­vano tur­lu­pi­nato i greci con l’aiuto di governi fan­tocci. E alla fine c’è chi com­para i giorni attuali della «dit­tat­tura finan­zia­ria» impo­sta dai cre­di­tori con gli anni ’70 della giunta dei colo­nelli al ser­vi­zio degli americani.

Man­cano poche ore al refe­ren­dum di domani, dome­nica, e chi vota per il «no» non é affatto con­vinto esclu­sion fatta per i diri­genti e gli atti­vi­sti del Syriza; meno con­vinti quelli dell’Anel (non a caso tre depu­tati dei «Greci indi­pen­denti» hanno preso una posi­zione diversa). Non è affatto con­vinto, tranne i fana­tici della Nea Dimo­kra­tia, del Pasok e del Potami (i tre par­titi pro-memorandum) chi vota per il «sì». Anzi le signore e i signori del «sì» sono presi, senza nascon­derlo, dal panico, vit­time di una pro­pa­ganda media­tica senza pre­ce­denti pro­mossa dai lea­der euro­pei che agi­tano la stra­te­gia del terrore.

Man­cano poche ore ad un evento cru­ciale per il futuro della Gre­cia ma anche di tutto il Vec­chio con­ti­nente e l’ esito rimane incerto. I greci sono divisi quasi a metà fra coloro che inten­dono votare «sì» e quelli che opte­ranno per il «no». Pure i son­daggi sono stati stru­men­ta­liz­zati al ser­vi­zio della cam­pa­gna del «sì». La notte di dome­nica 5 luglio sarà inco­ro­nata da una vit­to­ria dell’uno o dell’altro fronte. Ma di fatto sará una vit­to­ria ancora di Pirro se vince il «no»; una scon­fitta per la demo­cra­zia se domina il «sì».

Nel primo caso Ale­xis Tsi­pras è vero andrá a Bru­xel­les con un mag­gior potere di nego­ziato, ma non forte come era dopo l’ esito elet­to­rale del 25 gen­naio, rischiando di tro­vare le porte chiuse se pre­vale la volontá dei fal­chi intran­si­genti. In realtà Atene con un «no» debole non gua­da­gna nulla di impor­tante verso i cre­di­tori che aggiun­ge­ranno il potere di ricatto del «sì» alla fare­tra dei loro con­di­zio­na­menti. Per dirlo chia­ra­mente: con la vit­to­ria del «no» é impro­ba­bile che ci sarà una offerta migliore a livello finan­zia­rio ad Atene. Solo — e ció ha un immenso valore poli­tico e a lungo ter­mine — ci sará un mes­sag­gio che esi­ste, deve esi­stere, un’altra Europa della soli­da­rietá sociale e dei diritti.

Nel caso pre­va­lesse il «sì» il pre­mier greco potrebbe dimet­tersi aprendo la via a ele­zioni anti­ci­pate, men­tre il Paese den­tro que­sta Europa neo­li­be­ri­sta sarà stran­go­lato ancora di piú. Il governo delle sini­stre potrebbe essere una paren­tesi della sto­ria, come fu per il «governo della mon­ta­gna» dell’aprile del 1944 dall’ Eser­cito di Libe­ra­zione Nazio­nale (Eam), durato appena sei mesi, fino all’ otto­bre del 1944.
Per qual­cuno in ambe­due i casi — che vinca il «no» o il «si» -, il governo che sia del Syriza-Anel (ma è impro­ba­bile che una com­pa­gine a guida di sini­stra resti a gestire il gioco diven­tato nemico) o un’ altro fatto di fan­tocci tec­nici e poli­tici pro-memorandum, dovrà gestire un nuovo pac­chetto di misure restrit­tive peg­giore dei pro­grammi «lacrime e san­gue» pre­ce­denti, se il Mec­ca­ni­smo euro­peo di sta­bi­lità (Esm), il noto Fondo salva-stati, sod­di­sferà la richie­sta elle­nica per un nuovo pre­stito di 29,1 miliardi di euro. Per il sem­plice motivo che i fal­chi euro­pei «non danno niente per l’ anima della loro madre» come affer­mano i greci per dire che «niente si dà per niente».

Una set­ti­mana fa, invece, la vit­to­ria del «no» e del governo appa­riva sicura. E pochi giorni prima l’accordo con i cre­di­tori, a sen­tire lo stesso Tsi­pras, era a por­tata di mano con misure pari a 8 miliardi di euro. Cos’ è acca­duto per cam­biare la situa­zione così dra­sti­ca­mente? È solo colpa del ter­ro­ri­smo media­tico che ha ali­men­tato la paura della gente? Oppure ci sono delle respon­sa­bi­lità nel governo greco?

Il ten­ta­tivo di umi­liare il pre­mier greco durante il nego­ziato non ha pre­ce­denti. Ecco il motivo. L’ obiet­tivo dei cre­di­tori era smac­cato: maci­nare la per­so­na­lità poli­tica di Tsi­pras, chiu­dere con un governo delle sini­stre troppo peri­co­loso per­ché avrebbe messo in dub­bio il loro «edi­fi­cio» euro­peo. Il gioco é poli­tico e l’ alibi sono le finanze.

Da parte sua il pre­mier greco è stato forse più euro­pei­sta della lea­der­ship di Bru­xel­les. Ha rispet­tato regole e tra­di­zioni demo­cra­ti­che. Può essere una colpa? Ha annun­ciato il refe­ren­dum per met­tere alla prova dei cit­ta­dini un accordo che vio­lava le linee rosse del suo governo e il pro­gramma di Salo­nicco del Syriza, per far pres­sione sull’Ue per uscire dalla pres­sione dei fal­chi, evi­tando la resa e il salto nel buio.
Tsi­pras forse non ha pen­sato che una con­sul­ta­zione popo­lare di que­sto tipo sarebbe diven­tata ber­sa­glio di troppe cri­ti­che, spesso false. Del fatto che il timing era sba­gliato, che il tempo di una set­ti­mana per la cam­pa­gna elet­to­rale era troppo breve, che il con­te­nuto del refe­ren­dum ha rischiato fino all’ultimo di non appa­rire più valido, visto che le pro­po­ste dei cre­di­tori sono sca­dute insieme al pro­gramma di aiuti fin da mar­tedì scorso.

Tsi­pras é stato dun­que troppo one­sto, ad un tavolo nego­ziale dove die­tro sor­risi, gesti ami­cali foto di fami­glia ci sono ricatti e pugni sotto la cin­tura. Non ha mai cre­duto pos­si­bile che la Bce avrebbe chiuso i rubi­netti alle ban­che gre­che, pro­vo­cando il capi­tal con­trol e le lun­ghe file di fronte ai ban­co­mat. Non aveva cosi ela­bo­rato un piano B se la rispo­sta dei cre­di­tori alla sua richie­sta di un’ esten­sione del pro­gramma di appena una set­ti­mana — fino al refe­ren­dum — sarebbe stata nega­tiva. Il pre­mier greco si é pre­sen­tato pulito, a carte sco­perte avendo di fronte un’establishment Ue pronto ad azzan­narlo e un elet­to­rato greco euro­pei­sta ma dub­bioso. Tanti greci sof­frono per l’austerità della troika, ma temono che al peg­gio non ci sia fine. Tan­to­più se in acque sco­no­sciute. Come per il timo­niere Ulisse nell’Odis­sea.

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