Memoria e coscienza collettive sospese tra rabbia e incertezza
In queste ore difficili qui in Grecia il clima di polosi (la tensione), insieme alla preoccupazione, al timore per il giorno dopo, alla speranza insieme alla grinta e alla rassegnazione si sovrappongono creando un «vulcano» di sentimenti e pensieri contradittori per i greci. Che si scaricano in ogni discussione, strumentalizzata dai centri di potere mediatici vicini ai conservatori e al Pasok (socialisti) per servire un «sì» ambiguo (insieme all’Europa e alla resa) contro un chiaro «no» ad una proposta (giá scaduta) dei creditori.
La memoria collettiva, a seconda dell’etá di ciascuno, dei racconti da familiari, la conoscenza della storia e il proprio vissuto, si risvegliano per raccontare periodi altrettanto difficili, pieni di dolore e di scontri. C’è chi ricorda la «catastrofe» dell’Asia minore negli anni ’20 e l’ esodo di centinaia di migliaia di greci, sterminati e cacciati via da Kemal Ataturk, il fondatore dello stato turco, per diventare poi profughi affamati ma coltissimi e cittadini di seconda categoria ad Atene e Salonicco; c’è chi parla dell’ occupazione nazista, del grande «no» (oxi) al fascismo e poi della sconfitta della resistenza e della sinistra greca dopo una sanguinosa guerra civile che ha sterminato il Paese — anche allora i «liberatori» inglesi avevano turlupinato i greci con l’aiuto di governi fantocci. E alla fine c’è chi compara i giorni attuali della «dittattura finanziaria» imposta dai creditori con gli anni ’70 della giunta dei colonelli al servizio degli americani.
Mancano poche ore al referendum di domani, domenica, e chi vota per il «no» non é affatto convinto esclusion fatta per i dirigenti e gli attivisti del Syriza; meno convinti quelli dell’Anel (non a caso tre deputati dei «Greci indipendenti» hanno preso una posizione diversa). Non è affatto convinto, tranne i fanatici della Nea Dimokratia, del Pasok e del Potami (i tre partiti pro-memorandum) chi vota per il «sì». Anzi le signore e i signori del «sì» sono presi, senza nasconderlo, dal panico, vittime di una propaganda mediatica senza precedenti promossa dai leader europei che agitano la strategia del terrore.
Mancano poche ore ad un evento cruciale per il futuro della Grecia ma anche di tutto il Vecchio continente e l’ esito rimane incerto. I greci sono divisi quasi a metà fra coloro che intendono votare «sì» e quelli che opteranno per il «no». Pure i sondaggi sono stati strumentalizzati al servizio della campagna del «sì». La notte di domenica 5 luglio sarà incoronata da una vittoria dell’uno o dell’altro fronte. Ma di fatto sará una vittoria ancora di Pirro se vince il «no»; una sconfitta per la democrazia se domina il «sì».
Nel primo caso Alexis Tsipras è vero andrá a Bruxelles con un maggior potere di negoziato, ma non forte come era dopo l’ esito elettorale del 25 gennaio, rischiando di trovare le porte chiuse se prevale la volontá dei falchi intransigenti. In realtà Atene con un «no» debole non guadagna nulla di importante verso i creditori che aggiungeranno il potere di ricatto del «sì» alla faretra dei loro condizionamenti. Per dirlo chiaramente: con la vittoria del «no» é improbabile che ci sarà una offerta migliore a livello finanziario ad Atene. Solo — e ció ha un immenso valore politico e a lungo termine — ci sará un messaggio che esiste, deve esistere, un’altra Europa della solidarietá sociale e dei diritti.
Nel caso prevalesse il «sì» il premier greco potrebbe dimettersi aprendo la via a elezioni anticipate, mentre il Paese dentro questa Europa neoliberista sarà strangolato ancora di piú. Il governo delle sinistre potrebbe essere una parentesi della storia, come fu per il «governo della montagna» dell’aprile del 1944 dall’ Esercito di Liberazione Nazionale (Eam), durato appena sei mesi, fino all’ ottobre del 1944.
Per qualcuno in ambedue i casi — che vinca il «no» o il «si» -, il governo che sia del Syriza-Anel (ma è improbabile che una compagine a guida di sinistra resti a gestire il gioco diventato nemico) o un’ altro fatto di fantocci tecnici e politici pro-memorandum, dovrà gestire un nuovo pacchetto di misure restrittive peggiore dei programmi «lacrime e sangue» precedenti, se il Meccanismo europeo di stabilità (Esm), il noto Fondo salva-stati, soddisferà la richiesta ellenica per un nuovo prestito di 29,1 miliardi di euro. Per il semplice motivo che i falchi europei «non danno niente per l’ anima della loro madre» come affermano i greci per dire che «niente si dà per niente».
Una settimana fa, invece, la vittoria del «no» e del governo appariva sicura. E pochi giorni prima l’accordo con i creditori, a sentire lo stesso Tsipras, era a portata di mano con misure pari a 8 miliardi di euro. Cos’ è accaduto per cambiare la situazione così drasticamente? È solo colpa del terrorismo mediatico che ha alimentato la paura della gente? Oppure ci sono delle responsabilità nel governo greco?
Il tentativo di umiliare il premier greco durante il negoziato non ha precedenti. Ecco il motivo. L’ obiettivo dei creditori era smaccato: macinare la personalità politica di Tsipras, chiudere con un governo delle sinistre troppo pericoloso perché avrebbe messo in dubbio il loro «edificio» europeo. Il gioco é politico e l’ alibi sono le finanze.
Da parte sua il premier greco è stato forse più europeista della leadership di Bruxelles. Ha rispettato regole e tradizioni democratiche. Può essere una colpa? Ha annunciato il referendum per mettere alla prova dei cittadini un accordo che violava le linee rosse del suo governo e il programma di Salonicco del Syriza, per far pressione sull’Ue per uscire dalla pressione dei falchi, evitando la resa e il salto nel buio.
Tsipras forse non ha pensato che una consultazione popolare di questo tipo sarebbe diventata bersaglio di troppe critiche, spesso false. Del fatto che il timing era sbagliato, che il tempo di una settimana per la campagna elettorale era troppo breve, che il contenuto del referendum ha rischiato fino all’ultimo di non apparire più valido, visto che le proposte dei creditori sono scadute insieme al programma di aiuti fin da martedì scorso.
Tsipras é stato dunque troppo onesto, ad un tavolo negoziale dove dietro sorrisi, gesti amicali foto di famiglia ci sono ricatti e pugni sotto la cintura. Non ha mai creduto possibile che la Bce avrebbe chiuso i rubinetti alle banche greche, provocando il capital control e le lunghe file di fronte ai bancomat. Non aveva cosi elaborato un piano B se la risposta dei creditori alla sua richiesta di un’ estensione del programma di appena una settimana — fino al referendum — sarebbe stata negativa. Il premier greco si é presentato pulito, a carte scoperte avendo di fronte un’establishment Ue pronto ad azzannarlo e un elettorato greco europeista ma dubbioso. Tanti greci soffrono per l’austerità della troika, ma temono che al peggio non ci sia fine. Tantopiù se in acque sconosciute. Come per il timoniere Ulisse nell’Odissea.
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