Spaventa il debito pubblico, salito al 156% del Pil nel 2014, dal 143 di un anno prima e 111 nel 2007, alla vigilia della grande crisi. Livelli sballati, in apparenza, rispetto a quelli ben più contenuti, maneggiati in Italia (132% lo scorso anno, come conferma anche il Def). L’Ocse usa però un altro metodo di calcolo (non quello europeo di Maastricht, ma l’altro cifrato come Sna, il sistema dei conti nazionali). Si tratta dunque di un debito al lordo dei derivati e soprattutto valutato a prezzi di mercato. Sia come sia, peggio dell’Italia solo la Grecia e il Giappone. Tradotto a livello pro-capite, significa oltre 55 mila dollari a testa di debito nel 2014 (dai 50 mila dell’anno prima).
Molto meglio sul fronte del deficit, fermo alle colonne d’Ercole del 3% sul Pil nel 2014, contro il 2,9 nel 2013 e l’1,5 nel 2007. Con un avanzo primario buono, all’1,6 del Pil e una spesa per interessi al 4,7. Ottima notizia anche la previsione fatta dagli economisti di Parigi per quest’anno e il prossimo, con un surplus strutturale fissato allo 0,8 per entrambi gli anni (raddoppiato rispetto al 2014). Il tallone d’Achille del bilancio pubblico italiano rimane la sua spesa, alta e spesso poco efficiente. Quella per il welfare è sì cresciuta del 3,9%, sopra la media Ocse ferma al 2,3. Ma usata per lo più come tampone delle emergenze, in primis la disoccupazione galoppante negli anni della recessione senza fine.
Quando si parla di sanità, ad esempio, si spende meno (dal 56% del 2007 al 48 nel 2014), ma molti sono tagliati fuori. Ai più poveri – rivelano i dati Ocse sembra di vivere in Grecia, visto che devono rinunciare a cure ritenute troppo costose. La scuola pare abbandonata a se stessa. L’Italia è penultima in classifica, con il suo timido 8% destinato all’educazione, davanti anche qui alla sola povera Grecia. Va peggio all’ambiente, destinatario di un misero 1,8%, alla cultura e alle politiche abitative (1,4% ciascuno). Ma la scuola è tra tutte la voce che ha subito la maggiore riduzione tra 2007 e 2013 (-1,6%). La spesa militare, per dire, nello stesso periodo veniva scalfita di un simbolico 0,1%.
La rivoluzione digitale deve attendere. Nel 2014 solo un quinto degli italiani ha usato il web per interagire con la pubblica amministrazione (ma il 78% delle aziende): penultimi su 34 paesi. In testa gli scandinavi, attorno al 75%, con un picco dell’81 in Norvegia. Per di più i nostri dipendenti pubblici hanno un’età media assai alta. Una realtà che l’Italia condivide con Belgio e Spagna. Da noi gli under 30 sono tra l’1 e il 2% degli statali totali. In Cile saliamo al 28%. Da dove ripartire? Forse dalla spesa per investimenti, severamente compressa negli anni di crisi, quasi due punti in meno nel settennio peggiore dal dopoguerra.
Per il momento, occorre fare buon viso al taglio delle stime di crescita globali. L’Ocse le porta al 2% e al 2,8 per quest’anno e il prossimo (dal 3,1 e 3). Con pesanti revisioni per Usa e Cina. Si salva l’Europa, spinta da euro debole, prezzo del petrolio ribassato, condizioni finanziarie migliori. Crisi greca permettendo, s’intende.