La sfida di Varoufakis “Il debito va tagliato se vince il sì lascio”

by redazione | 3 Luglio 2015 8:14

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ATENE. «Piuttosto mi faccio tagliare un braccio». Che a Yanis Varoufakis le mezze misure non fossero mai piaciute lo si sapeva. Ma neanche gli ultimi giorni ad altissima tensione, sbattuto sulle prima pagine di mezzo mondo e indicato come il principale responsabile del disastro imminente, il cattivo consigliere di un ingenuo Alexis Tsipras, gli hanno fatto cambiare idea.
Il ministro delle Finanze greco sceglie Bloomberg , cioè la tana del lupo per eccellenza, per ribadire la sua posizione: o dentro l’accordo tra Grecia e Unione europea ci sarà anche la ristrutturazione del debito, oppure la sua firma sotto al (possibile) documento non ci sarà. Se Tsipras ha fatto intendere le sue probabili dimissioni in caso di sconfitta al referendum, seppur senza dirlo chiaramente, Varoufakis è andato dritto per dritto. Alla domanda «se ci sarà una vittoria del “sì” domenica, lunedì sera lei non sarà più ministro?», la risposta è stata netta, com’è nel personaggio: «No, non lo sarò. Ma lavorerò con chi lo sarà», con abbinato sorriso un po’ beffardo.
Per il 54enne professore di Economia con passaporto greco e australiano il voto di dopodomani rappresenta un bivio dove da una parte c’è tutto e dall’altra c’è il nulla. Detestato dai colleghi di dicastero di mezza Europa, considerato poco meno di un piantagrane; invidiato da molti compagnidi partito che si sono visti passare davanti questo ex consulente dell’allora primo ministro socialista George Papandreou, capace di conquistarsi una ribalta mediatica unica e seconda solo a Tsipras, un po’ per le sue qualità dialettiche e un po’ per l’anticonformismo. E però amato dalla base di Syriza e beniamino delle sinistre radicali continentali, con il video di lui che giorni fa diretto in Parlamento arriva in piazza Syntagma a piedi e senza scorta, tra gli applausi, filmato che fa il giro dei social network. Insomma, appunto, prendere o lasciare, o bianco o nero. Anzi, rosso, nel suo caso di marxista convinto.
«Vogliamo disperatamente restare nell’euro e domenica vinceremo», assicura. E le voci su un possibile ritorno alla dracma vengono state liquidate subito: «Anche volendo gli stampi sono stati distrutti, l’unione monetaria è irreversibile». Se sia vero fino in fondo è difficile dirlo, ma la certezza è che i greci sì non vogliono l’austerità e però neanche vogliono uscire dall’euro.
Il ritorno alla vecchia moneta, ormai, è un piano mandato in soffitta anche dalla sinistra interna di Syriza. Non tanto per convinzione, quanto perché il consenso generale è tutto per la moneta unica. «Ma con questo referendum in gioco non c’è la moneta. Vogliamo dimostrare però che si può cambiare il modo di stare in Europa», continua sempre Varoufakis.
«Il problema adesso non è bancario, non è una crisi del sistema creditizio. Le banche — aggiunge — sono perfettamente capitalizzate. La crisi è politica e deriva dalla decisione dell’Eurogruppo di farle chiudere». Una specie di ricatto, un modo per surriscaldare l’atmosfera, fa capire. Gli istituti di credito «apriranno regolarmente martedì prossimo». Un problema non da poco finora, con le file davanti a ogni bancomat della Capitale da lunedì scorso. Fenomeno che però il “cittadino” Varoufakis non conosce direttamente: la domanda del giornalista è di quelle maliziose ( «Ma lei ha mai fatto la coda in questi giorni?»), il ministro se la cava con un «ma io e mia moglie facciamo una vita frugale». Se comunque vincerà l’”oki”, il no, inizieranno i colloqui per una nuova intesa: «Credetemi, l’accordo ci sarà». La questione del debito, per Varoufakis, è basilare. Lo scriveva già nei suoi libri di economista, quando non aveva ruoli politici, tiene il punto anche di fronte alla tempesta: semplicemente — ragiona — quella è una massa di denaro inesigibile, cresciuta a dismisura con l’austerità, e ogni accordo senza tagliarne una parte è solo un’agonia prolungata per il Paese, strozzato dalle rate e dagli interessi. «Volete per caso che mi allinei?», ribatte alle domande di
Bloomberg . Può darsi che alla fine a doversi allineare — più di quanto fatto finora, con molta fatica e con poco successo — sarà proprio Syriza, il suo partito: «Forse ci saranno dei rimpasti al governo, qualcuno non avrà il fegato per digerire certe imposizioni».
E quel qualcuno magari sarà proprio lui. Il quale, dopotutto, alle montagne russe un po’ si è abituato in questi sei mesi drammatici: prima quasi esautorato nelle trattative, commissariato dal viceministro delle Relazioni internazionali, Euclid Tsakalotos. E infine tornato prepotentemente alla ribalta. Se per restarci, lo sapremo domenica.
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