La nuova dichiarazione universale

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Gli scorsi giorni hanno visto in Ita­lia l’asfittico ripe­tersi del ciclo mono­tono «emer­genza migranti», guerra fra poveri, stru­men­ta­liz­za­zioni delle destre, nella fat­ti­spe­cie, Lega, Casa Pound, Fra­telli d’Italia.
Il ciclo ricalca uno schema che ha già dato ampie prove di sé nel corso di tutto il Novecento.

Que­sto schema si nutre sem­pre dello stesso veleno: nega­ti­viz­za­zione e cri­mi­na­liz­za­zione dell’altro in quanto tale.

Que­sto risul­tato si ottiene attra­verso mec­ca­ni­smi reto­rici di fal­si­fi­ca­zione, di gene­ra­liz­za­zione, attra­verso la dila­ta­zione e la mani­po­la­zione stru­men­tale di dati sta­ti­stici, attra­verso la pro­pa­ga­zione di allarmi sociali, l’evocazione di paure irra­zio­nali e la con­trap­po­si­zione ance­strale fra il noi e il loro come anta­go­ni­smo fra il legit­timo e l’illegittimo, fra la tito­la­rità e la clan­de­sti­nità. Da que­sto schema è espunto lo sta­tuto uni­ver­sale di dignità dell’essere umano. La poli­tica sta all’interno di que­sto cir­cuito per­verso o per soprav­vi­vere alla pros­sima cosid­detta emer­genza o per paras­si­tare qual­che van­tag­gio elet­to­rale con la pre­tesa di ergersi a pala­dina degli autoc­toni asse­diati dagli invasori.

Coloro che per ori­gine ideale dovreb­bero opporsi allo squal­lido tran­tran della poli­ti­chetta come mestiere non hanno nes­suna auto­re­vo­lezza o cre­di­bi­lità per farlo, non sanno ergersi oltre lo sta­tus quo, oltre la rou­tine media­tica. Alzare lo sguardo signi­fica ricor­dare che solo quarant’anni fa, nelle terre del nord, gli «altri» erano i nostri cit­ta­dini meri­dio­nali, i ter­roni, ricor­dare che nel corso di cento anni (1870–1970) gli «altri» sono stati gli ita­liani, 30 milioni di emi­granti (molti clan­de­stini) nelle Ame­ri­che, in Europa e in Australia.

È neces­sa­rio ricor­dare che cit­ta­dini autoc­toni simili in tutto e per tutto a quelli che oggi nel Veneto e alle porte di Roma non vogliono nel loro quar­tiere un pugno di migranti afri­cani, allora, con la stessa atti­tu­dine intol­le­rante, non vole­vano gli ita­liani, li descri­ve­vano come peri­co­losi, spor­chi, vio­lenti, criminali.

Chi oggi vuole respin­gere i migranti è por­ta­tore della stessa pato­lo­gica men­ta­lità di chi allora calun­niava, insul­tava e voleva ricac­ciare in mare i nostri con­cit­ta­dini che non sfug­gi­vano alle guerre ma alla fame ende­mica, alla dispe­ra­zione sociale, alla man­canza di futuro.

Nell’alluvione di reto­rica e fal­sità che accom­pa­gnano il pen­siero rea­zio­na­rio sulla «que­stione migranti» emerge come apo­teosi del rag­giro lo slo­gan fru­sto e truf­fal­dino: «Aiu­tia­moli a casa loro». Ma certo! Aiu­tia­moli a casa loro. Allora c’è un solo modo per farlo: espel­lere dall’Africa ogni inte­resse colonialista.

Il colo­nia­li­smo è stato, al di là di ogni pos­si­bile dub­bio, il più vasto e per­du­rante cri­mine della sto­ria dell’umanità. Il primo e più effe­rato cri­mi­nale anche se non il solo è stato l’Occidente e, per nulla pen­tito per­si­ste. Il cri­mine è per­du­rante e pro­se­gue nel nostro tempo con le guerre «uma­ni­ta­rie» o pre­ven­tive, con l’azione delle mul­ti­na­zio­nali, con la sot­tra­zione delle risorse più pre­ziose ai legit­timi tito­lari, impe­di­sce la sovra­nità ali­men­tare, idrica, arraffa terre ed è in com­butta con i gover­nanti più cor­rotti e tiran­nici. Vediamo que­sti poli­ti­ca­stri da quat­tro soldi se sono capaci di aiu­tarli a casa loro. Vediamo sotto i nostri occhi come sono capaci di con­tra­stare la schia­viz­za­zione dei lavo­ra­tori stra­nieri nei nostri campi di pomo­dori e nei nostri frut­teti. Ma fra le deva­sta­zioni più imper­do­na­bili con le quali la men­ta­lità colo­nia­li­sta ha inqui­nato il rap­porto fra uomini di cul­ture diverse c’è la con­ce­zione dell’altro visto come minore, sot­to­met­ti­bile, diseguale.

Prima l’ideologia colo­nia­li­sta si è auto asse­gnata il com­pito di civi­liz­za­zione di altre cul­ture defi­nite uni­la­te­ral­mente come inci­vili, oggi che le con­se­guenze dell’infestazione colo­niale por­tano grandi flussi migra­tori verso l’Europa, l’altro diventa inde­si­de­ra­bile, minac­cioso, da respin­gere. Ovvia­mente colui che mag­gior­mente viene ostra­ciz­zato è il più povero, il più dispe­rato, men­tre, per con­fon­dere le acque, ci si mostra dispo­ni­bili ad acco­gliere colui che è prov­vi­sto di attri­buti accet­ta­bili. Il raz­zi­sta e lo xeno­fobo odierni non vogliono essere defi­niti come tali, fin­gono di risen­tirsi con­tro chi li apo­strofa con l’epiteto che danno mostra di rite­nere insultante.

Ma oggi il vero spar­tiac­que fra chi, diciamo, crede nella piena dignità ed inte­grità dell’essere umano e chi con varie­gate moti­va­zioni, non lo crede risiede nelle con­trap­po­ste con­ce­zioni dell’emigrazione. Per chi acco­glie in sé la dignità dell’altro come bene supremo, l’emigrazione è pro­getto di tra­sfor­ma­zione per la costru­zione di una società di giu­sti­zia e soli­da­rietà. Per coloro che non per­ce­pi­scono in sé l’accoglienza dell’altro come oriz­zonte verso cui met­tersi in cam­mino l’emigrazione è pro­blema, emer­genza, tur­ba­tiva, invasione.

Chi, indi­vi­duo, asso­cia­zione, par­tito o movi­mento sostiene la piena dignità dell’altro e prende sul serio la «Dichia­ra­zione uni­ver­sale dei diritti dell’uomo» ha il dovere di radi­ca­liz­zare la pro­pria pero­ra­zione chie­dendo subito, come da tempo sug­ge­ri­sce il sin­daco di Palermo Leo­luca Orlando, l’abolizione uni­ver­sale del per­messo di sog­giorno. Il cam­mino sarà certo lungo ma è tempo di ini­ziarlo con decisione.



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