La crisi ellenica nei media francesi Come dire: « Syriza delenda est»

by redazione | 2 Luglio 2015 9:18

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«È il momento dell’editoriale di Arnaud Lepar­men­tier, buo­na­sera Arnaud. Sta­sera lei gri­derà a pieni pol­moni “Tsi­pras, dimet­titi!”», annun­cia Nico­las Demo­rand, pre­sen­ta­tore di una tra­smis­sione dedi­cata all’attualità inter­na­zio­nale su France Inter (15 giu­gno). «Se Tsi­pras non firma, dovrà essere un altro a farlo. Ha capito bene, Nico­las: in veste di Cas­san­dra, pre­vedo un pos­si­bile cam­bio di governo ad Atene. (…) Tsi­pras ha fatto delle pro­messe inso­ste­ni­bili al suo popolo; è giunto il momento che cambi coa­li­zione o lasci il potere.»

È pos­si­bile tro­vare un esem­pio di edi­to­riale migliore di que­sto appello al rove­scia­mento di un governo eletto da meno di sei mesi, ma col­pe­vole di voler man­te­nere le sue pro­messe? Syriza delenda est – Syriza deve essere distrutta: la for­mula ha molto spesso sug­gel­lato i menù dei «sum­mit dell’ultima ora» desti­nati a «sal­vare» Atene. All’interno del gruppo for­mato dal primo mini­stro greco e i cre­di­tori lo scon­tro è stato subito ideo­lo­gico. Per nes­suna ragione al mondo l’Europa con­ser­va­trice lasce­rebbe intra­ve­dere la pro­spet­tiva di un’altra via pos­si­bile, fosse anche mode­ra­ta­mente social-democratica come il pro­gramma di Syriza.

Resa poli­tica o caos eco­no­mico: la stampa fran­cese è stata estre­ma­mente discreta nel rac­con­tare la stra­te­gia di colpo di Stato segreto che i gior­nali eco­no­mici inglesi hanno invece descritto nei minimi particolari:

«Nume­rose per­so­na­lità, fra cui molti mini­stri delle finanze della zona euro, hanno indi­cato in pri­vato che un accordo sarebbe pos­si­bile solo a una con­di­zione: il primo mini­stro greco deve esclu­dere dal governo l’ala sini­stra di Syriza, rive­lava il Finan­cial Times all’inizio di aprile. L’idea sarebbe che Ale­xis Tsi­pras crei una nuova coa­li­zione con il centro-sinistra».

Igno­rare un simile ten­ta­tivo di desta­bi­liz­za­zione poli­tica signi­fi­cava già pren­dere posi­zione a favore dei cre­di­tori. Restava da amman­tare la scelta con un aspetto morale («biso­gna pagare i debiti» ), psi­co­pa­to­lo­gico («ripor­tare i greci alla ragione») e imper­niato sullo scon­tro fra grandi per­so­na­lità. Quelle dei mini­stri delle finanze greco e tede­sco, l’«esasperante» Yanis Varou­fa­kis con­tro l’«impassibile» Wol­fgang Shäuble. (…)

Di certo il for­fait del governo elle­nico era imper­do­na­bile: voler rom­pere la catena di pre­stiti desti­nati a rim­bor­sare altri pre­stiti, essi stessi con­cessi al prezzo di un’austerità che pro­voca il crollo dell’economia e delle con­di­zioni di vita. I media, del resto, non face­vano mistero del «bilan­cio sociale disa­stroso del piano di sal­va­tag­gio» (Les Echos, 22 gen­naio). Seb­bene, sfo­gliando i gior­nali, si con­sta­tasse il fron­teg­giarsi di due punti di vista radi­cal­mente scol­le­gati: quello, con­fi­nato nelle pagine interne, dei cro­ni­sti e dei cor­ri­spon­denti dalla Gre­cia, che pre­sen­tava un disa­stro; e quello, a carat­teri cubi­tali, degli ana­li­sti, che ripe­te­vano la ver­sione ufficiale.

Ciò nono­stante le rela­zioni tra Syriza e l’editocrazia fran­cese hanno avuto una schia­rita. Quando, a ini­zio gen­naio, i son­daggi davano il par­tito anti­au­ste­rità in testa, i com­men­ta­tori si avvi­dero che, tutto som­mato, il pro­gramma di Tsi­pras «non ha nulla di stra­va­gante», dato che il capo­fila della sini­stra radi­cale «non smette di annac­quare il suo vino Retsina» (Lau­rent Jof­frin, Libé­ra­tion, 24 e 27 gen­naio). «Non sol­tanto non c’è ragione di allar­marsi, si rilas­sava Ber­nard Guetta all’approssimarsi del voto, ma, se le urne man­te­nes­sero le pro­messe che i son­daggi fanno a que­sti movi­menti, nell’Unione i rap­porti di forza cam­bie­reb­bero» (France Inter, 6 gennaio).

L’Unione euro­pea avrebbe fatto allora scor­rere ancor più latte e miele sulla fronte dei popoli, come cia­scuno ha potuto con­sta­tare in seguito. L’ebrezza della vit­to­ria prese per­sino il pre­sen­ta­tore del tele­gior­nale di France 2, David Puja­das, che si vide giron­zo­lare davanti al Par­te­none per infor­marsi sul sala­rio degli ope­rai, prima che l’esperto eco­no­mico ultraor­to­dosso Fra­nçois Len­glet con­fes­sasse in diretta che l’austerità «non regge, per­ché sfida sia l’economia che il buon senso» (26 gen­naio). I Greci, pen­sa­vano tutti, si ammor­bi­di­ranno. Capiranno. (…)

La peda­go­gia irri­tata degli inse­gnanti in capo si rivela tanto meno frut­tuosa per il fatto che non cre­dono a una parola della pro­pria lezione. Nes­suno di loro ignora che la Gre­cia non potrà ono­rare il suo debito, ma cia­scuno giu­dica urgente man­te­nere l’illusione. Al di fuori delle voci ete­ro­dosse abi­tuali – e della penna iso­lata del gior­na­li­sta Roma­ric Godin su La Tri­bune –, la spe­cu­la­zione finan­zia­ria all’origine della crisi e gli sce­nari poli­tici alter­na­tivi non sono stati per nulla esplo­rati. Biso­gna stu­pirsi? Secondo un’inchiesta dell’associazione Acri­med, nel primo tri­me­stre 2015, «il 71% degli eco­no­mi­sti invi­tati da Le Monde per discu­tere della poli­tica della zona euro sono mem­bri di ban­che, grandi imprese o della Banca cen­trale euro­pea». In mate­ria, il quo­ti­diano serale non è un’eccezione.

Supremo inganno della fol­lia gior­na­li­stica, gli stessi esperti ban­chieri si dif­fon­dono su tutti i sup­porti per spie­gare che un fal­li­mento greco costrebbe ai fran­cesi «quasi 1000 euro per abi­tante» (Le Jour­nal du diman­che, 21 giu­gno), come se Atene non nego­ziasse con imper­so­nali buro­cra­zie ma con cia­scun con­tri­buente. Essi si guar­dano bene dal pre­ci­sare che i loro capi sono stati i primi a bene­fi­ciare dei «piani di sal­va­tag­gio», come ammette volen­tieri l’economista di punta del Finan­cial Times, Mar­tin Wolf: «Il grosso dei pre­stiti alla Gre­cia non è stato accor­dato a bene­fi­cio del paese, ma dei cre­di­tori pri­vati inetti» (17 giugno).

Negli stessi giorni (15 giu­gno), Les Echos pub­blica un edi­to­riale dei Grac­ques, «gruppo infor­male di ex alti fun­zio­nari socia­li­sti», con­tro il «governo rosso e nero di Tsi­pras»: «Il rischio del con­ta­gio greco non è più finan­zia­rio. È politico. (…)

Cedere alla Gre­cia inco­rag­ge­rebbe Stati più impor­tanti a eleg­gere per­sone che pro­pon­gono le stesse stra­te­gie di estor­sione.» La rab­bia dei socia­li­sti libe­rali con­tro la sini­stra anti-austerità indica ciò che la stampa fran­cese ha igno­rato: la respon­sa­bi­lità della Fran­cia. La messa in scena di uno scon­tro tra Atene e Ber­lino ha avuto l’effetto di con­cen­trare le cri­ti­che di sini­stra sulle posi­zioni tede­sche. Così facendo, un terzo attore, la Fran­cia, poteva uscire discre­ta­mente di scena.

La noti­zia che la destra tede­sca si sia con­for­mata al con­ser­va­to­ri­smo è meno scon­vol­gente di un’altra, pre­sto oscu­rata: l’esecutivo «socia­li­sta» fran­cese, eletto in base alla pro­messa di fer­mare il ciclo euro­peo di auste­rità, governa anch’esso come la destra tede­sca. Seconda potenza eco­no­mica della zona euro, Parigi aveva i mezzi per far valere, dopo le ele­zioni gre­che, un soste­gno gra­ni­tico ad Atene, capace di ribal­tare i ruoli.

Tranne quello de L’Humanité, gli edi­to­ria­li­sti non avranno imma­gi­nato uno sce­na­rio che met­tesse in scena dei socia­li­sti fran­cesi di sini­stra. L’esercizio richie­deva, in effetti, un pro­di­gioso sforzo d’immaginazione.
(Tra­du­zione di Vale­rio Cuccaroni)

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