Jean-Paul Fitoussi: “L’Unione può crollare davvero Berlino lo sa per questo tratta”

by redazione | 8 Luglio 2015 9:30

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ROMA. «Se è vero, come tutto lascia prevedere, che le trattative si stanno per riaprire, con tanto di nuovi vertici convocati per il fine settimana, è un bellissimo segnale: la politica si è finalmente riappriata di una vicenda che non può essere altro che, appunto, politica». Nella voce di Jean-Paul Fitoussi, il guru economico della parigina SciencesPo, c’è una venatura di sollievo per il recupero all’ultimissimo momento di un filo di speranza, proprio in conclusione di una giornata che era sembrata delle peggiori fino all’ultimo momento. «Anche io come tanti avevo sudato freddo alla convocazione del referendum. E ancora di più alla notizia della vittoria del No. Poi però c’è stato il miracolo, e Tspiras è uscito dall’angolo in cui si era cacciato».
A Bruxelles in queste ore si discute del destino della sola Grecia o dell’Europa intera?
«Sicuramente la seconda ipotesi. Ma soprattutto è in discussione un concetto: l’economia non è solo matematica. Non è solo conti, percentuali, quote di Pil o di debito. È una visione d’insieme, e anche un esercizio di democrazia. Ora, è vero, come ci siamo sentiti ripetere fino alla noia in questi giorni, che vanno considerate anche le democrazie degli altri, però in Grecia per la prima volta è stato interpellato direttamente il popolo. E questo ha detto che si deve cambiare rotta in Europa. Voglio sperare che questa storia serva da stimolo perché si ritorni al vero spirito europeo, quello di Kohl, Mitterrand e ancora prima di Spaak e di Schumann: l’Europa non può incartarsi in una diatriba infinita senza più pensare al suo sviluppo, alla sua crescita, alla sua integrazione. Perché se lo fa intanto crescono movimenti xenofobi, antieuropei, fascisti, populisti. In Francia, in Italia, ovunque. E questi la faranno crollare, non la Grecia».
Qual è secondo lei il fattore decisivo che riporterà al tavolo delle trattative tutti i protagonisti?
«Il più importante è che la Merkel non vuole passare alla storia come la persona che ha fatto crollare l’Europa, dopo che il suo predecessore Kohl era stato capace di sacrificare la sua rielezione per aver voluto l’euro, su pressioni italiane ma soprattutto francesi, mentre sapeva benissimo che il suo popolo era contrario dal momento che, dopo la riunificazione, la Germania tornava a essere una grande potenza con una moneta fortissima come il marco. Kohl temeva la sindrome del nazionalismo, il demone che tanto male aveva fatto alla Germania e al mondo. Quella sì che era una visione politica ».
Più pragmaticamente, la Bce non bastava come baluardo di stabilità? Schaeuble continua malgrado tutto a sostenere che senza Atene l’Europa starà meglio.
«Macché. Si è sparsa al contrario la paura che i meccanismi approntati dalla Bce non assicurano matematicamente la tenuta del sistema europeo nell’ipotesi più infausta, come dimostra il comportamento terrorizzato dei mercati dei mercati in questi giorni di stop-and-go. Ma come dicevo il rischio non è monetario, è politico. In Europa si è accumulato un preoccupante ritardo di integrazione, e questa vicenda rischia di far precipitaretutto. In fondo anche la Bce è un organismo che risponde, come è giusto che sia, agli input politici. Non dimenticate che quando Draghi arrivò, a fine 2011, non era affatto convinto di intraprendere la strada dell’espansione monetaria. Ci sono voluti vertici su vertici, e l’avallo finale della Merkel in persona, perché trovasse il coraggio di sfidare la Bundesbank trasformandosi da falco in colomba e avviandosi sulla via delle Omt e infine del quantitative easing. Ma è giusto che sia così: in questi giorni l’Eurotwer ha imposto un regime ai minimi, centellinando gli aiuti e tenendo la Grecia in una sorta di coma controllato. Aspetta solo un’indicazione politica. E forse in questo fine settimana finalmente arriverà».
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