Il Sud in crisi batte la Grecia Uno su tre a rischio povertà
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ROMA La Grecia ce l’abbiamo in casa. E si chiama Mezzogiorno. Dal 2001 ad oggi il Prodotto interno lordo del nostro Sud è sceso del 9,4%. Addirittura peggio che in Grecia dove nello stesso periodo, tra crescita drogata e recessione nera, il Pil è sceso dell’1,7%. Il rischio è che, dalla Campania in giù, la crisi si trasformi in un tunnel senza uscita, in una condizione di «sottosviluppo permanente». Una formula di due parole, proprio come quella usata in tutti questi anni: «questione meridionale». Molto più cruda, però. Anche perché a utilizzarla è chi per anni ha cercato di remare nella direzione opposta, la Svimez, l’associazione per lo sviluppo industriale del Mezzogiorno.
Nel rapporto annuale presentato ieri a Roma non c’è neanche un numero al quale aggrapparsi. Mentre al Centro Nord ci sono i primi segnali di ripresa, al Sud i consumi continuano a calare, dall’inizio della crisi l’industria manifatturiera ha perso addirittura un terzo della sua produzione, gli investimenti proseguono la loro picchiata. E il «sottosviluppo permanente» non è un rischio solo economico ma anche sociale. Nel Mezzogiorno una persona su tre è a rischio povertà, mentre al Nord siamo a uno su dieci. L’anno scorso il numero dei bambini nati (174 mila) ha toccato il punto più basso non dall’inizio della crisi ma dall’Unità d’Italia. E a compensare il calo non sono bastati, per la prima volta, nemmeno i figli degli immigrati. Il rapporto ricorda le previsioni fatte nei mesi scorsi dall’Istat: nei prossimi 50 anni il Mezzogiorno perderà 4,2 milioni di abitanti, più di un quinto della sua popolazione. Non solo desertificazione industriale ma desertificazione punto e basta. E non è solo una questione di numeri.
Come ricorda il rapporto Svimez, «emigrano sempre più giovani colti e al Sud il futuro riserva una popolazione più ridotta e invecchiata». Difficile immaginare come si possa recuperare una situazione del genere. Secondo il Movimento 5 Stelle non resta che far partire il reddito di cittadinanza. La minoranza del Pd, con un’interpellanza di Gianni Cuperlo e Roberto Speranza, attacca il governo parlando di «promesse disattese». Per la stessa Svimez, invece, bisogna «accrescere le dimensioni del sistema industriale caratterizzate da un apparato largamente sottodimensionato». In fondo è quello che si tentò di fare nel Dopoguerra. Evidentemente senza risultati che abbiano retto nel tempo.
Lorenzo Salvia
Nel rapporto annuale presentato ieri a Roma non c’è neanche un numero al quale aggrapparsi. Mentre al Centro Nord ci sono i primi segnali di ripresa, al Sud i consumi continuano a calare, dall’inizio della crisi l’industria manifatturiera ha perso addirittura un terzo della sua produzione, gli investimenti proseguono la loro picchiata. E il «sottosviluppo permanente» non è un rischio solo economico ma anche sociale. Nel Mezzogiorno una persona su tre è a rischio povertà, mentre al Nord siamo a uno su dieci. L’anno scorso il numero dei bambini nati (174 mila) ha toccato il punto più basso non dall’inizio della crisi ma dall’Unità d’Italia. E a compensare il calo non sono bastati, per la prima volta, nemmeno i figli degli immigrati. Il rapporto ricorda le previsioni fatte nei mesi scorsi dall’Istat: nei prossimi 50 anni il Mezzogiorno perderà 4,2 milioni di abitanti, più di un quinto della sua popolazione. Non solo desertificazione industriale ma desertificazione punto e basta. E non è solo una questione di numeri.
Come ricorda il rapporto Svimez, «emigrano sempre più giovani colti e al Sud il futuro riserva una popolazione più ridotta e invecchiata». Difficile immaginare come si possa recuperare una situazione del genere. Secondo il Movimento 5 Stelle non resta che far partire il reddito di cittadinanza. La minoranza del Pd, con un’interpellanza di Gianni Cuperlo e Roberto Speranza, attacca il governo parlando di «promesse disattese». Per la stessa Svimez, invece, bisogna «accrescere le dimensioni del sistema industriale caratterizzate da un apparato largamente sottodimensionato». In fondo è quello che si tentò di fare nel Dopoguerra. Evidentemente senza risultati che abbiano retto nel tempo.
Lorenzo Salvia
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