Il paese dei poveri che Renzi non vede su Twitter

by redazione | 16 Luglio 2015 9:16

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Istat. La povertà assoluta si è stabilizzata a 4,1 milioni di persone nel 2014, ma dal 2007 è aumentata del 130%. Quella relativa coinvolge oltre 7 milioni di persone. La propaganda surreale del presidente del Consiglio: «L’Italia ha oggettivamente svoltato». E’ urgente istituire un reddito minimo, mentre si parla di un «piano contro le povertà». Ecco le proposte sul tavolo

Nei primi otto anni anni di crisi la povertà asso­luta in Ita­lia è aumen­tata del 130%. Nel 2007 823 mila fami­glie erano in que­sta con­di­zione, nel 2014 erano arri­vate a 1 milione 470 mila. Gli indi­vi­dui inca­paci di garan­tirsi una vita mini­ma­mente accet­ta­bile con un red­dito degno di que­sto nome erano, rispet­ti­va­mente, 1 milione 789 mila e 4 milioni 102 mila. Per essere ancora più chiari: negli anni dei tagli al wel­fare, delle mano­vre eco­no­mi­che reces­sive, dell’ostinato diniego da parte di tutti i governi di poli­ti­che uni­ver­sali di con­tra­sto come il red­dito minimo di base, la povertà asso­luta si è radi­cata e ha col­pito 2 milioni 313 mila per­sone. In que­sta cor­nice biso­gna con­si­de­rare i dati sulla «povertà rela­tiva», cal­co­lata sulla base della spesa di una fami­glia di due mem­bri pari a 1,041 euro men­sili com­po­sta da due com­po­nenti. Nel 2014 erano 2 milioni 654 fami­glie, cioè 7 milioni 815 mila indi­vi­dui, a tro­varsi in que­sta condizione.

Que­sto è l’ampio bacino del disa­gio eco­no­mico foto­gra­fato nel report sulla povertà in Ita­lia dif­fuso ieri dall’Istat. La povertà asso­luta col­pi­sce più al Sud, la per­cen­tuale dell’8,6% è più che dop­pia che al Nord. Nei ter­ri­tori regi­stra un’incidenza più ele­vata nelle zone rurali al sud e in quelle metro­po­li­tane al Nord. Le più col­pite sono le fami­glie con stra­nieri (23,4%), le donne (2 milioni 44 mila) e si con­ferma il dato inquie­tante del boom della povertà ali­men­tare ed edu­ca­tiva tra i minori che sono 1 milione 45 mila. I gio­vani tra i 18 e i 34 anni sono 857 mila, gli anziani 590 mila. Quasi la metà (il 46,5%) di chi è in que­sta con­di­zione è ita­liano e si rivolge alla Cari­tas. Gli altri sono stra­nieri. Il 62,7% per­sone è senza occu­pa­zione. Nel primo seme­stre 2014, 46 mila per­sone si sono rivolte alle mense e ai cen­tri d’ascolto di que­sta orga­niz­za­zione. Quanto alla povertà rela­tiva, dif­fusa soprat­tuto a Sud, dove una fami­glia su quat­tro è povera, col­pi­sce le fami­glie con a capo un ope­raio ed è deci­sa­mente supe­riore (15,5%) a quella tra gli auto­nomi (8,1%), in par­ti­co­lare agli impren­di­tori e ai liberi pro­fes­sio­ni­sti (3,7%), si pre­sume non ai free­lance o a coloro che vivono nella zona gri­gia tra para­su­bor­di­na­zione e pre­ca­riato, dove cre­scono le nuove povertà al lavoro.
L’Istat atte­sta una sta­bi­liz­za­zione del dato sulla povertà asso­luta dopo due anni con­se­cu­tivi di cre­scita. Per la pre­ci­sione, parla di «dato non nega­tivo per un feno­meno così pesante. La quota delle fami­glie in povertà asso­luta è sta­bile, ma ele­vata» ha com­men­tato il suo pre­si­dente Gior­gio Alleva. Si tratta pur sem­pre di un aumento del 130% in sette anni.

Pen­sate che davanti a que­sti numeri Renzi si sia fer­mato a riflet­tere, abbia avuto un ten­ten­na­mento? Per nulla: «L’Italia ha ogget­ti­va­mente svol­tato — ha detto il pre­si­dente del Con­si­glio — ma c’è ancora molto da fare». Que­sto è sicuro. E poi: «Se man­te­niamo que­sto ritmo sulle riforme avremo dati di cre­scita signi­fi­ca­tivi». Non è Ler­cio, il sito di umo­ri­smo che spo­pola in rete. Se il dato è «non nega­tivo» signi­fica sem­pli­ce­mente che non c’è cre­scita, men­tre la povertà asso­luta si è radi­cata e dif­fi­cil­mente sarà rever­si­bile senza inter­venti ocu­lati. Pro­prio quelli che Renzi ha evi­tato, fino ad oggi, di fare in ogni modo, pre­oc­cu­pato di stan­ziare quasi 10 miliardi all’anno per gli 80 euro in busta paga per i con­sumi sta­gnanti del ceto medio impo­ve­rito. Renzi cri­tica «chi stap­pava lo cham­pa­gne per un più zero vir­gola sulla cre­scita» ma con­fonde gli indi­ca­tori. Qui non si parla di cre­scita del Pil, ma di un «dato non nega­tivo» della cre­scita dell’esclusione sociale totale. Va troppo di fretta, prende fischi per fia­schi: «Non sarò mai sod­di­sfatto dei dati eco­no­mici fin­ché non vedremo grandi dati di cre­scita». Può allora aspet­tare a lungo, per­ché la cre­scita di que­sto tipo non la rive­drà mai e quella che ci sarà non pro­durrà un’occupazione fissa ma pre­ca­ria \[jobless reco­very\] come dimo­strano quo­ti­dia­na­mente i primi dati sul Jobs Act.

Resta fuori da que­sto oriz­zonte men­tale qual­siasi forma di tutela uni­ver­sale con­tro la povertà, defi­nito da Renzi «inco­sti­tu­zio­nale» nella sua for­mu­la­zione (errata) di «red­dito di cit­ta­di­nanza». In realtà si tratta di un red­dito minimo uni­ver­sale ed è un prov­ve­di­mento legit­timo. Una legge sarà pre­sen­tata in Senato dal Movi­mento Cin­que Stelle e da Sel (e forse da una parte del Pd) a set­tem­bre, dopo la frut­tuosa media­zione della cam­pa­gna «red­dito di dignità» di Libera di Don Ciotti e del Bin-Italia[1]. «Il governo è inerte — ha sot­to­li­neato Nun­zia Catalfo (M5S) — non si è ancora ado­pe­rato per intro­durre alcun tipo di misura per il con­tra­sto alla povertà». Il costo oscilla tra i 14 e i 23 miliardi di euro annui finan­zia­bili con la fisca­lità gene­rale e attra­verso una rimo­du­la­zione degli ammor­tiz­za­tori sociali. Riguarda gli indi­vi­dui e con­si­ste in un’erogazione tra i 650 e i 780 euro men­sili in cam­bio del con­senso di un’offerta di lavoro con­grua e digni­tosa. Se appro­vato, il red­dito minimo potrebbe essere la prima ini­zia­tiva per inver­tire la ten­denza del radi­ca­mento della povertà e dell’unica cre­scita visi­bile in Ita­lia, al di là della spet­ta­co­lare pro­du­zione di balle media­ti­che: quella dei «lavo­ra­tori poveri» tra i dipen­denti come tra gli autonomi.

Oltre al red­dito minimo uni­ver­sale, una misura assente solo in Ita­lia e in Gre­cia che mira alla riu­ni­fi­ca­zione dei sus­sidi esi­stenti sulla disoc­cu­pa­zione, la pre­ca­rietà e la povertà, esi­ste un altro pro­getto. Si tratta del «red­dito di inclu­sione sociale» pro­po­sto dall’«Alleanza con­tro la povertà»[2], un car­tello for­mato, tra gli altri, dalle Acli e dai sin­da­cati con­fe­de­rali Cgil, Cisl e Uil. Ieri que­sta misura riser­vata al con­tra­sto della sola povertà asso­luta è stata ripro­po­sta dai suoi idea­tori con una certa urgenza. «Deve essere basato non solo su suf­fi­cienti risorse finan­zia­rie — sostiene Gianni Bot­ta­lico, pre­si­dente delle Acli — ma anche sull’attivazione di una rete di soli­da­rietà che coin­volga gli enti locali, le comu­nità, il ser­vi­zio civile. Chie­diamo al governo che si pre­veda un inter­vento strut­tu­rale nella pros­sima legge di sta­bi­lità». Le spe­ri­men­ta­zioni in atto del Sia o della social card «sono inef­fi­caci — ha detto Vera Lamo­nica, segre­ta­ria con­fe­de­rale Cgil — c’è biso­gno di un piano nazio­nale di con­tra­sto alla povertà».

Wel­fare. Costi e pro­spet­tive del red­dito minimo
Il pre­si­dente dell’Istat Gior­gio alleva ha pre­sen­tato l’11 giu­gno scorso in un’audizione al Senato una valu­ta­zione dell’impatto eco­no­mico delle pro­po­ste di legge sul red­dito minimo pre­sen­tate dal Movi­mento Cin­que Stelle e da Sini­stra Eco­lo­gia e Libertà[3]. Le stime delle micro­si­mu­la­zioni effet­tuate dall’Istituto Nazio­nale di Sta­ti­stica hanno fis­sato il costo del prov­ve­di­mento dei Cin­que Stelle in 14,9 miliardi di euro annui, quello di Sel in 23,5 miliardi. La prima pro­po­sta garan­ti­sce un livello minimo di risorse a 2 milioni 640 mila per­sone con red­dito infe­riore all’80% della linea di povertà rela­tiva. La seconda è un’erogazione uni­ver­sale a tutti coloro che sono in povertà, sono alla ricerca di un lavoro, o lavo­rano pre­ca­ria­mente e aumenta con fami­glie con più com­po­nenti ed è rivolta a «mono­ge­ni­tori» con figli minori, gio­vani e sin­gle, cop­pie con figli minori. Dopo la cam­pa­gna «red­dito di dignità», pro­mossa tra gli altri da Libera di Don Ciotti e dal Basic-Income– Net­work Ita­lia, i due par­titi si sono impe­gnati a pre­sen­tare un dise­gno di legge uni­fi­cato, pro­ba­bil­mente con la par­te­ci­pa­zione di una delle mino­ranze del Pd. Lo faranno a set­tem­bre, poi chie­de­ranno la pre­si­dente del Senato Grasso di calen­da­riz­zare la pro­po­sta e discu­terla in aula.

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Endnotes:
  1. Una legge sarà pre­sen­tata in Senato dal Movi­mento Cin­que Stelle e da Sel (e forse da una parte del Pd) a set­tem­bre, dopo la frut­tuosa media­zione della cam­pa­gna «red­dito di dignità» di Libera di Don Ciotti e del Bin-Italia: http://ilmanifesto.info/storia/cinque-stelle-e-sel-a-settembre-il-reddito-minimo-in-aula-al-senato/
  2. Si tratta del «red­dito di inclu­sione sociale» pro­po­sto dall’«Alleanza con­tro la povertà»: http://ilmanifesto.info/per-essere-degni-ci-vuole-come-minimo-un-reddito/
  3. Il pre­si­dente dell’Istat Gior­gio alleva ha pre­sen­tato l’11 giu­gno scorso in un’audizione al Senato una valu­ta­zione dell’impatto eco­no­mico delle pro­po­ste di legge sul red­dito minimo pre­sen­tate dal Movi­mento Cin­que Stelle e da Sini­stra Eco­lo­gia e Libertà: http://ilmanifesto.info/sostiene-listat-reddito-possibile/

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