by redazione | 11 Luglio 2015 10:09
L’insistenza della stampa italiana, del governo e del Pd tutto sui presunti successi delle riforme è oggi cifra del baratro intellettuale e analitico in cui è sprofondato il Paese. Il Ministero del Lavoro ha pubblicato ieri i dati consolidati sui nuovi contratti per il mese di maggio, così come l’Inps. Secondo il Ministero, a maggio 2015 ci sono stati in totale 184.707 nuovi contratti al netto delle cessazioni, relativamente a tutti i settori economici. È un successo? Semplicemente no, soprattutto non lo è se si guarda al connubio tra Jobs Act e incentivi alle imprese e non lo è neppure se ci si sofferma a fare un confronto tra il 2014 e il 2015.
A maggio, sono stati attivati 271 nuovi contratti a tempo indeterminato (salvo eccezioni particolari, tutti a tutele crescenti) al netto delle cessazioni, che rappresentano lo 0.1% dei contratti totali, mentre quelli a tempo determinato sono 184.812, le collaborazioni diminuiscono di 10.194 e l’apprendistato è in buona salute (più 6.498). Emerge inoltre che il numero di contratti sia a tempo determinato che indeterminato è positivo esclusivamente per la componente maschile, mentre per le donne i contratti diminuiscono.
Se i nuovi contratti relativi a nuove assunzioni a tempo indeterminato sono prossimi allo zero, nel quinto mese di quest’anno si contano oltre 30 mila trasformazioni da contratti a tempo determinato e apprendistato in contratti a tutele crescenti. Le imprese non stanno creando nuovi posti di lavoro, ma trasformano contratti già in essere ottenendo gli sgravi sul costo del lavoro, forti della possibilità di un guadagno netto nel caso di licenziamento, dal momento che il risarcimento per i lavoratori è stato ridotto dal Jobs Act stesso.
Allo stesso tempo, le imprese sfruttano quello che è il vero successo del governo: il decreto Poletti, che eliminando la causale per i contratti a tempo determinato, ha reso molto più flessibile e senza vincoli questa tipologia contrattuale.I lavoratori diventano merce a tutti gli effetti, usati come un qualsiasi fattore usa e getta. La situazione non potrà che peggiorare, considerando anche la riforma delle tipologie contrattuali.
Quando invece la propaganda volge a sottolineare le differenze con il 2014, allora ecco che la realtà si fa boomerang per il governo. Innanzitutto, l’analisi economica richiede che i confronti vadano fatti «a parità di condizioni», cioè considerando che tutte le variabili che potenzialmente hanno un impatto sui posti di lavoro siano identiche nei due periodi di riferimento (maggio 2015 e maggio 2014). Invece, quest’anno l’economia italiana — trainata sostanzialmente dalla componente di domanda estera e non da quella interna (nulla) indotta dalle politiche del governo — si trova in una situazione congiunturale migliore: a maggio scorso eravamo ancora in recessione tecnica — si continuava a licenziare, infatti il numero di contratti a tempo indeterminato (con cui governo e adepti fanno il confronto) era negativo e la produzione industriale era al suo minimo su tutto il 2014. Tuttavia, nonostante l’economia si trovi in una situazione lievemente migliore rispetto a un anno fa, le riforme del governo Renzi non sono in grado di sfruttare il vento favorevole e sostenere la ripresa, che se esiste deve necessariamente passare per un miglioramento del mercato del lavoro e degli investimenti di cui non c’è traccia.
Tornando ai dati statistici, a maggio del 2015 rispetto a un anno fa ci sono in totale 3.544 nuovi contratti guardando a tutte le tipologie. Qual che conta, e nessuno dice, è che questi valori rappresentano soltanto le posizioni contrattuali: un lavoratore può avere più di un contratto; quindi non rappresentano neppure il numero di nuovi occupati.
Nella giornata di ieri, anche l’Inps ha pubblicato i dati relativi ai contratti, che però differiscono da quelli del Ministero in quanto i primi non contengono le informazioni relative al pubblico impiego gestione ex Inpdap, lavoratori domestici e operai agricoli.Secondo l’Istituto di previdenza, tra gennaio e maggio sono stati stipulati complessivamente 141.208 contratti a tempo indeterminato al netto delle cessazioni e nel mese di maggio questi sono 3.557 (ma, appunto, non tengono conto di alcuni settori in cui evidentemente il numero di cessazioni supera quello delle attivazioni), mentre le trasformazioni sono 28. Ancor più interessante è il numero di rapporti di lavoro instaurati con la fruizione dell’esonero contributivo previsto dalla legge di stabilità (ovvero, legge 190/2014), che sono 52.913 per i nuovi contratti a tempo indeterminato e 23.286 per le trasformazioni.
Ad oggi, le riforme del governo Renzi rimangono un netto trasferimento monetario dalle tasche dei contribuenti alle imprese, senza che queste si sentano responsabilizzate né a investire né a creare nuova e buona occupazione.
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