I sindacati europei si schierano per il no
«Le ricette della troika sono state un disastroso fallimento, e stanno mettendo in pericolo non solo la Grecia ma potenzialmente anche altri paesi dell’eurozona a causa di finanzieri globali e speculatori assetati di profitto».
Sono le parole di Sharan Burrow, segretario generale dell’ Ituc (la Confederazione sindacale internazionale), per la quale è necessaria la ristrutturazione del debito. In Europa invece, il 30 giugno, Yanis Panagopoulos, presidente della Confederazione generale dei lavoratori (Gsee, il più grande sindacato greco del settore privato) ha firmato assieme al presidente del Dbg (la Confederazione sindacale tedesca, che raccoglie più di 6 milioni di iscritti) Reiner Hoffmann una lettera in cui si riconosceva il valore del referendum e si richiedeva un’estensione del pacchetto di aiuti fino all’esito del referendum e una dilazione del pagamento della rata al Fmi.
Desta quindi stupore la posizione assunta il giorno dopo dalla plenaria del Gsee che ha invitato a ritirare il referendum per paura di una lacerazione sociale all’interno del paese. Ribadendo però l’opposizione «in maniera irrevocabile ad ogni tipo di memorandum (…) sia che venga dai creditori, sia dal governo» accanto alla volontà di rimanere in un’Europa federale solidale e di tenere la moneta unica.
La Confederazione sindacale europea (l’Etuc) ha sottoscritto l’appello. Contemporaneamente però molti sindacati che fanno parte dell’Etuc hanno invitato i propri iscritti a manifestare in solidarietà del popolo greco ricattato dalle èlites europee disposte a far sfasciare l’Europa pur di impartire la lezione a chiunque osi discostarsi dall’ortodossia neoliberale. In Italia il 4 luglio Cgil, Cisl e Uil hanno firmato un comunicato in cui si auspica una ristrutturazione del debito, condannando la possibilità di un ennesimo salasso per i ceti già duramente colpiti durante gli ultimi anni di gestione della crisi e invitando quindi un piano per la crescita.
In Francia le sezioni dell’Ile-de-France della storica Cgt (700.000 iscritti), del Fo (Force Ouvriere, 500.000 iscritti), del Fsu (Federation Syndicate Unitarie, 300.000 iscritti, funzione pubblica) e Solidaires hanno convocato una manifestazione «in difesa della sovranità greca» per il 2 luglio. Attaccano Fmi, Commissione e Bce per aver usato la Grecia come «laboratorio», instaurando un falso negoziato basato su «implementazione di politiche neoliberali o nulla».
La Cgt in un comunicato del 30 Giugno accusa Merkel, Hollande e Lagarde di proporre un vero diktat. Solidaires parla di «colpo di stato finanziario», additando le politiche «autoritarie e antidemocratiche che affossano i lavoratori». La Fsu demistifica la retorica dei media mainstream e le politiche di «fiscal waterboarding», affermando che «Quanto accade in Grecia (..) riguarda la richiesta di un’Europa sociale più giusta, solidale ed ecologica».
Anche dalla Germania arriva la solidarietà dell’agguerrito, e dai due milioni di iscritti, sindacato dei servizi Ver.di che esordisce così: «La troika ha puntato una pistola alla testa del governo greco». Per arrivare dritti al punto «Loro non temono nulla più che Spagna, Portogallo o Irlanda votino per il cambiamento.
Il messaggio è chiaro: chi vuole restare nell’Eurozona deve abbracciare politiche neoliberali e sacrificare la democrazia».
E anche dal Portogallo il maggior sindacato del paese, la Cgpt-in, condanna le interferenze delle istituzioni europee e del Fmi, accusando socialdemocratici e popolari al governo per le posizioni «di sudditanza» verso la Troika. Intanto il principale sindacato scozzese, lo Stuc, ha organizzato una manifestazione di supporto al «no» nel referendum per sabato 4 ad Edimburgo.
La dichiarazioni e le prese di posizione sindacale mostrano un’internazionalizzazione dei lavoratori che si coalizzano davanti alla torsione postdemocratica che sta avvenendo in Europa. Dalle giornate a Francoforte alle piazze animate dai Verdi e dalla Linke in Germania, a Madrid, a Roma (le cui mobilitazioni vedono sempre la Fiom presente) e ad Atene, inizia quindi ad emergere un movimento che tenta la ridemocratizzazione dell’Europa.
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