Gre­cia, stop sulle pensioni

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Governo a rischio, slitta la riforma voluta da Bruxelles. Non si voteranno neppure gli aumenti di tasse per gli agricoltori, a causa dell’opposizione di Nea Democratia. Ancora tensioni in Syriza: l’ex ministro Lafazanis all’attacco, Varoufakis «pronto»

Niente riforma delle pen­sioni e delle tasse sugli agri­col­tori. Si è aperta così la set­ti­mana più dif­fi­cile per il governo Tsi­pras 2.0, chia­mato a votare domani la seconda tor­nata di leggi impo­ste dal Memo­ran­dum cer­cando di non per­dere altri pezzi, dopo il rim­pa­sto di ben dieci tra mini­stri e vice­mi­ni­stri della scorsa set­ti­mana (e quello pre­ce­dente con Yan­nis Varou­fa­kis). Non si è ricu­cito infatti lo strappo con i dis­sen­zienti di Syriza, anzi la ferita san­guina ancora a tal punto che nel week end non è stato con­vo­cato il Comi­tato cen­trale del par­tito, spac­cato a metà sul tema dell’accordo (con una leg­gera pre­do­mi­nanza dei contrari).

Il lea­der della Piat­ta­forma di sini­stra, Pana­gio­tis Lafa­za­nis, ex mini­stro dell’Energia, in un’intervista al quo­ti­diano del par­tito Avgi è andato all’attacco: «Se Syriza insi­ste a voler appli­care il nuovo Memo­ran­dum, rischia di diven­tare un nuovo Dimar (il par­tito della Sini­stra demo­cra­tica che non è riu­scito nep­pure a entrare in Par­la­mento lo scorso gen­naio, ndr) o una sorta di Potami (la for­ma­zione cen­tri­sta filo-troika gui­data dall’ex pre­sen­ta­tore tele­vi­sivo Sta­vros Theo­do­ra­kis, ndr)», ha detto. Parole che hanno get­tato ben­zina sul fuoco delle pole­mi­che interne e che si aggiun­gono alle con­ti­nue ester­na­zioni dell’ex mini­stro delle Finanze Yan­nis Varou­fa­kis, che si dice pronto a tor­nare in campo dopo l’inevitabile, a suo parere, fal­li­mento dell’accordo.

In que­sto sce­na­rio sono dati per scon­tati, domani in Par­la­mento, i voti con­trari dei dis­sen­zienti del par­tito. Ma il pro­blema è che già venerdì l’esecutivo è rima­sto in piedi per soli tre voti, 123 con­tro i 120 della pro­pria mag­gio­ranza, con­si­de­rati la soglia limite oltre la quale non esi­ste­rebbe nep­pure un governo di mino­ranza. E il rischio è che il dis­senso si allar­ghi.  Ieri mat­tina ha ras­se­gnato le dimis­sioni pure il segre­ta­rio gene­rale della pre­vi­denza sociale (l’Ika, l’Inps elle­nica) Gior­gios Roma­nias, che in un’intervista all’emittente pri­vata Mega Chan­nel (la tv più schie­rata con­tro il governo Tsi­pras) ha detto di aver spie­gato al neo­mi­ni­stro del Lavoro Gior­gos Katrou­ga­los che pro­vava una «grande umi­lia­zione» a fare il con­tra­rio di quello per cui aveva otte­nuto l’incarico, che il suo mini­stero non era stato coin­volto nella riforma e di non voler ese­guire le nuove norme sulle pen­sioni: «Non posso dare una pen­sione di 87 euro a un disa­bile, per­ché è que­sto che è stato deciso».

Katrou­ga­los ha  ribat­tuto che saranno toc­cate solo le pen­sioni anti­ci­pate, ma non per i lavori usu­ranti e per i disa­bili.
Ma nel pome­rig­gio, di fronte al rischio di ulte­riori defe­zioni e che il governo domani perda la sua mag­gio­ranza costrin­gendo il pre­mier alle dimis­sioni nel momento in cui, iro­nia della sorte, i son­daggi danno lui e Syriza al mas­simo sto­rico, l’esecutivo ha con­ge­lato tutto. La pro­spet­tiva, in caso di caduta, sarebbe quella di un governo di scopo per appli­care alcune riforme e poi tor­nare al voto in autunno, con il rischio di un ago­sto di altis­sima insta­bi­lità poli­tica ed economica.

Niente riforma delle pen­sioni, dun­que, e nep­pure delle tasse agli agri­col­tori, dopo che, ulte­riore grana di gior­nata, su que­sta que­stione si erano messi di tra­verso alcuni espo­nenti di Nea Demo­cra­tia (cen­tro­de­stra), all’opposizione ma fon­da­men­tali, insieme al drap­pello di depu­tati socia­li­sti del Pasok e dei cen­tri­sti di Potami, per l’approvazione delle norme che andreb­bero a pena­liz­zare un for­tis­simo bacino di con­sensi elet­to­rali in par­ti­co­lare della destra, più forte nelle aree rurali.  Si vote­ranno solo (si fa per dire per­ché il pac­chetto è comun­que con­si­stente) la riforma del codice di pro­ce­dura civile e del sistema ban­ca­rio, altre due richie­ste arri­vate da Bru­xel­les ma meno con­tro­verse: la prima ser­virà a snel­lire i tempi biblici dei giu­dizi civili, men­tre la seconda riguarda l’adozione della diret­tiva euro­pea sul risa­na­mento e la riso­lu­zione delle banche.

Il neo­vi­ce­mi­ni­stro delle Finanze Tri­fon Ale­xia­dis, ex diret­tore dell’Agenzia delle Entrate che ha preso il posto dell’economista Nadia Vala­vani che si era dimessa il giorno del voto del Memo­ran­dum in Par­la­mento, ha assi­cu­rato invece, nel giorno del suo inse­dia­mento, imme­diate ispe­zioni con­tro l’evasione fiscale, vera e pro­pria piaga del paese elle­nico.  Nel frat­tempo, ieri sono entrati in vigore (non senza pro­blemi di gestione per via delle ali­quote diverse a seconda dei beni ven­duti) gli aumenti dell’Iva e le ban­che hanno final­mente ria­perto dopo una chiu­sura che durava dal 29 giu­gno, sia pur con il vin­colo dei 60 euro che è pos­si­bile riti­rare ogni giorno (o 420 euro tutte in una volta a set­ti­mana) e un con­trollo dei capi­tali che rischia di durare ancora per mesi, con qual­che  allen­ta­mento per chi ha figli all’estero (ai quali può tra­sfe­rire un mas­simo di 5 mila euro per un tri­me­stre) o i paga­menti di ser­vizi sani­tari all’estero (mas­simo mille euro).

Rien­trato anche tec­ni­ca­mente il default, visto che i soldi del pre­stito ponte euro­peo, 7,16 miliardi, appena arri­vati nelle casse dis­san­guate della Gre­cia sono finiti a pagare le rate arre­trate del Fmi e quelle dovute alla Bce (più 500 milioni resti­tuiti alla Banca cen­trale greca).



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