by redazione | 12 Luglio 2015 12:58
L’edificio rosso pompeiano che si trova all’incrocio tra via Galaa e via Ramsis nel centro antico del Cairo è stato sventrato ieri da un’esplosione che si è udita nei quartieri vicini. L’attentato, in cui sarebbero stati usati 450 chili di esplosivo, è stato rivendicato dal sedicente Stato islamico in Egitto, insieme a Ansar Beit al-Meqdisi, gruppo affiliato al terrorismo internazionale di Daesh.
La bomba, fatta detonare a distanza, alle sei di mattina, e collocata in un’autovettura, ha causato un morto e dieci feriti. Tutti questi elementi collocano l’attentato nella scia di tensione a bassa intensità che dilania l’Egitto ormai da due anni, dopo il golpe militare del 3 luglio 2013.
Il venditore ambulante Shaaban Abdel-Al è morto, mentre l’avvocato Abdel Mohsen e i suoi quattro figli sono rimasti feriti e sono stati condotti nei vicini ospedali Helal e della stazione. Sono in corso le indagini degli inquirenti che stanno visionando le immagini delle telecamere che hanno ripreso l’attacco per una ricostruzione degli eventi.
Dopo l’esplosione due giornalisti freelance David Degner e Alessandro Accorsi, arrivati sul posto, sono stati brevemente detenuti e poi rilasciati dalla polizia. Questa stessa via e il ponte sopraelevato di 6 Ottobre che la sovrasta erano già stati teatro di scontri tra manifestanti e polizia a poche ore dalle prime proteste anti-regime che sono scoppiate in piazza Tahrir nel gennaio 2011.
L’edificio ospita il Consolato italiano, la scuola italiana Leonardo da Vinci e l’Istituto Dante Alighieri. È un punto di riferimento per la comunità italiana al Cairo (nel cortile ha sede anche un club di ristorazione italiano) ma non viene percepito dagli egiziani come una sede diplomatica perché perfettamente integrata nel tessuto urbano tra le bancarelle e i fruttivendoli di via Galaa a due passi dalla sede del quotidiano al-Ahram tra le continue urla dei conducenti di micro-bus che portano a Embaba o in altri quartieri popolari.
La zona di Boulaq Abu el Ela è abitata da classe medio-povera che si affretta tra le bancarelle di vestiti di seconda mano, molto frequentata ma altrettanto deserta alle prime ore dell’alba in un sabato di Ramadan.
Gridare subito all’«Italia sotto attacco», come ha fatto il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni, è estremamente dannoso e fuorviante. Se i terroristi, conniventi con i servizi segreti militari e civili deviati, avessero voluto davvero colpire gli interessi italiani in Egitto avrebbero avuto ben altri luoghi su cui puntare.
Eppure i turisti italiani presenti nel paese sono stati messi in allerta ed è stato chiesto loro di non uscire dai resort se non strettamente necessario.
Tutta la ricca e varia comunità italiana in Egitto, che abbiamo spesso raccontato in queste pagine, si sente così suo malgrado nell’occhio del ciclone. Certo non sono da minimizzare i danni causati alla sede consolare italiana, come conferma la preside della Leonardo da Vinci, Emira Pizzuto.
«La porta della scuola e numerose finestre sono saltate, i vetri sono andati in frantumati, alcuni controsoffitti caduti: la scuola non è agibile», ha spiegato.
«Dal cortile ho visto danni anche alle finestre dell’ufficio militare mentre gli uffici del Consolato sono parzialmente crollati — ha aggiunto Pizzuto — Molti danni ci sono anche all’ufficio visti, mentre nell’ufficio del console ed in quelli di segreteria ci sono danni e calcinacci».
Eppure il 24 gennaio 2014, a poche ore dal referendum costituzionale che ha permesso l’ascesa al potere del presidente Abdel Fattah al-Sisi (che ieri ha subito incassato la solidarietà del premier Matteo Renzi), si è svolto un attentato, che somiglia molto a questo, alle porte del Museo di Arte islamica nel quartiere di Abdin. Anche allora sono stati subito accusati i Fratelli musulmani, come ieri, ma sembra tanto assurdo e impossibile che gli islamisti moderati potessero avere come obiettivo un museo di arte per giunta islamica tanto quanto forzato pensare che terroristi e jihadisti volessero ieri colpire l’Italia. In entrambi i casi si tratta di piccoli attentati di una strategia più grande che si svolgono in luoghi relativamente semplici da raggiungere e colpire.
Il paese sta attraversando una nuova fase di grave instabilità dopo l’attentato che ha causato la morte del procuratore generale del Cairo, Hisham Barakat. E aperto la strada a una vera guerra nel Sinai che ha provocato più di duecento vittime in poche ore.
La legge anti-terrorismo, approvata dieci giorni fa, ha poi accelerato i processi contro gli islamisti che rischiano di essere da un momento all’altro impiccati se condannati a morte in via definitiva, incluso l’ex presidente Mohamed Morsi.
In più, decine di ong legate alla Fratellanza musulmana sono state chiuse negli ultimi giorni. Ma la repressione colpisce anche la sinistra, l’attivista dei Socialisti rivoluzionari, Khaled al-Sayed, è stato fermato e arrestato all’aeroporto del Cairo.
Sayed ha duramente criticato la legge anti-proteste che impedisce le contestazioni in Egitto. Una ricercatrice francese che documentava il ruolo del movimento 6 aprile nelle rivolte del 2011 è stata arrestata ed espulsa dal paese. Nella legge anti-terrorismo si fa addirittura riferimento all’uso della terminologia appropriata da parte dei corrispondenti esteri affinché non rischino la deportazione
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