E la Merkel fa piangere una profuga

E la Merkel fa piangere una profuga

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 BERLINO . «Signora cancelliera, perché volete espellere me e la mia famiglia, perché volete strapparmi il sogno di studiare coi miei compagni di classe?». All’incontro in una scuola di Rostock con Angela Merkel — ripresa dalla telecamere — è la giovane palestinese Reem, una rifugiata da un campo in Libano, a prendere il microfono e fare la domanda. «E così difficile vivere con la paura di venir mandati via, senza poter vivere una vita normale. Io vorrei studiare, vorrei vivere qui», dice in un tedesco perfetto, chissà da quanto sta in Germania. La risposta della cancelliera è fredda, burocratica: «A volte la politica deve essere dura. In Libano ci sono migliaia di persone nei campi profughi, e pensate pure all’Africa, mica possiamo dire a tutti di venire in Germania, altrimenti non ce la faremmo… quel che posso promettere è che in futuro le procedure per valutare le richieste d’asilo saranno più celeri».
Improvvisamente la “donna più potente del mondo” si ferma. Rimane come imbambolata. Di fronte a lei la ragazzina palestinese si mette a piangere, a dirotto. La cancelliera fa un sorriso, va da lei. «Ma hai fatto tutto bene, sei stata brava». E cerca di consolarla. «Non è questione di essere bravi», la rintuzza il moderatore, «è che la sua situazione è molto pesante». «Lo so benissimo», risponde Angela Merkel irritata. «Per questo voglio darle una carezza».
Il video ha fatto il giro di tutti i siti tedeschi, e non solo di quelli, il dibattito è furente. «Ma che sensibilità ed empatia ha mai la cancelliera?», si chiedono tra gli altri Spiegel.de , Sueddeutsche online e tanti altri. L’episodio della ragazza palestinese che Angela Merkel con le sue parole prima ha scosso poi ha tentato di consolare si è rivelato un clamoroso autogol. Proprio mentre “Boycott Germany”, l’hashtag più diffuso del momento, lanciato da greci, anarchici e molte altre voci di sinistra radicale invita con irruenza a non comprare più prodotti tedeschi. Dando un ulteriore colpo all’immagine della prima potenza europea. L’hashtag invita con toni pesantissimi, carichi di odio e allusioni ad altre epoche, a «vivere senza auto Volkswagen o elettrodomestici Miele», almeno «finché non avranno pagato tutti i debiti di guerra». Se ne parla anche alla Camera di commercio federale. «Lo prendiamo sul serio, ma non ci danneggerà troppo, non c’è ragione di farsi prendere dal panico, dall’inizio della crisi greca appelli di questo genere ne abbiamo già visti in rete».
Nel duro appello-hashtag, persino professori della London School of Economics, come per esempio David Graever, si spingono a ricordare la cancellazione dei debiti di guerra tedeschi, decisa alla conferenza internazionale di Londra nel 1953. Sono un volto della realtà che viviamo. Incomprensione crescente tra una Germania più assertiva e il resto d’Europa. Thomas Strobl, genero di Schaeuble e numero due della Cdu, urla in pubblico in un comizio «i greci ci hanno rotto i nervi fin troppo».
Ne risente inevitabilmente persino l’umorismo. Il famoso cabarettista Dieter Nuhr spopola scherzando così: «La mia famiglia ha votato democraticamente, non pagheremo il mutuo». Clima d’incomprensione crescente, allarme anche qui: secondo Wolfgang Muenchau, columnist di Spiegel , «rischiamo il ritorno dell’Europa a situazioni da diciannovesimo o inizio ventesimo secolo, quando i paesi più forti imponevano ai più deboli la loro volontà».


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