Draghi dà più ossigeno ad Atene E la Ue sblocca aiuti e prestito-ponte

by redazione | 17 Luglio 2015 17:30

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ROMA. In un solo giorno la Grecia fa tre passi avanti verso la salvezza. Grazie alla sofferta approvazione del primo pacchetto di riforme da parte del Parlamento di Atene, ieri l’Eurogruppo ha dato il via libera al negoziato tecnico per la stesura del terzo pacchetto di salvataggio da 86 miliardi e ha annunciato l’ok al prestito ponte che traghetterà Atene fino al 20 agosto, data indicativa per la partenza del soccorso triennale. A valle di queste decisioni, Mario Draghi ha spiazzato tutti con la scelta di versare subito 900 milioni alle banche greche in modo da permetterne la riapertura già da lunedì. Oggi il giorno del giudizio definitivo, con il Bundestag e altri tre parlamenti (già arrivato l’ok finlandese) che si pronunceranno sul piano ellenico.
L’Eurogruppo sprona Atene ad approvare la seconda tranche di riforme entro mercoledì ma intanto concede il via libera «di principio» alla stesura tecnica, che richiederà qualche settimana, del terzo salvataggio firmato dal fondo salva-stati dell’Unione (Esm). Inoltre arriva l’annuncio – sarà formalizzato oggi dopo il Bundestag- del prestito ponte da 7 miliardi (altri 5 serviranno per il periodo 20 luglio-20 agosto) grazie al quale la Grecia potrà pagare 1,6 miliardi di arretrato all’Fmi e 4,2 in scadenza lunedì alla Bce. Dunque sembrano superate le perplessità dei paesi esterni all’eurozona, come la Gran Bretagna, ad essere coinvolti nel prestito ponte tramite un vecchio fondo dell’Ue (Efsm) del quale sono soci tutti i governi dell’Unione e non solo quelli della moneta unica.
Pochi minuti dopo l’Eurogruppo, da Francoforte Draghi ha annunciato la scelta dei governatori di alzare subito di 900 milioni, senza aspettare tutti i voti parlamentari, la liquidità d’emergenza per le banche greche (Ela) rimasta congelata a 89 miliardi dall’annuncio del referendum costringendo gli istituti a chiudere. «Le cose sono cambiate – ha spiegato – la Bce continua a lavorare sul presupposto che la Grecia è e resterà nell’eurozona». Francoforte tornerà a esaminare l’Ela dopo l’approvazione del secondo set di riforme del 22 luglio: se necessario darà ulteriore ossigeno, anche se non si esclude che la rinnovata fiducia convinca i greci a non prendere d’assalto le filiali alla loro riapertura.
Draghi ha quindi spiegato che dopo la re- stituzione dei 4,2 miliardi da parte della Grecia «ci sarà spazio» per coinvolgere Atene nel quantitative easing. Ci vorrà comunque tempo: perché la Grecia entri nel Qe – che permetterebbe alle sue banche di rinforzarsi – dovrà prima partire il programma di salvataggio, atteso per fine agosto.
Il presidente Bce ha infine concordato sulla necessità di ristrutturare il debito greco per rendere il salvataggio credibile. «E’ fuori questione che un alleggerimento del debito sia necessario, nelle prossime settimane ci concentreremo sul come». Tema caro all’Fmi, che lo pone come condizione alla sua partecipazione al programma, anche se nelle ultime ore gli europei, che non vogliono il taglio netto del debito perché contrario alle norme dell’euro, e il Fondo, invece favorevole all’haircut, sembrano avvicinarsi, come testimoniava la sua numero uno Christine Lagarde: «Serve una drastica riduzione dell’onere finanziario su Atene, ma non importa che forma abbia». L’ex ministro francese ha quindi espressamente aperto al reprofiling, intervento ormai previsto anche dagli europei (allungamento dei tempi del rimborso del debito e abbassamento dei tassi). Se l’Fmi chiede un periodo di grazia di 30 anni, gli europei sono disponibili ad un annacquamento inferiore e su questo si negozia.
Per Schaeuble il Fondo non parteciperà alla prima tranche del salvataggio, notizia che non sorprende visto che l’Fmi fino a marzo 2016 ha le mani legate perché impegnato in un vecchio programma per Atene: in primavera deciderà se intervenire in base alla soluzione individuata per alleggerire il debito. L’intervento del Fondo resta importante: l’Esm metterà 50 miliardi, altri 25 saranno usati per ristrutturare le banche e il resto dovrebbe arrivare proprio da Washington.
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