Cinquecento miliardi e cinque salvataggi in soli sei anni ecco le cifre del crac

by redazione | 2 Luglio 2015 9:09

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Con i due tagli e gli allungamenti delle scadenze presi in carico dai vari governi europei la somma da rimborsare ai creditori internazionali si aggira intorno ai 330 miliardi di euro, che a oggi rappresenta il conto della crisi greca
ROMA. Il “pre-default” dell’altra notte verso il Fmi, innescato dal mancato saldo della rata da 1,6 miliardi dovuta dalla Grecia all’istituzione di Washington a fine giugno, rischia di non restare senza conseguenze. Ieri, a margine della riunione dell’Eurogruppo, il Fondo salvastati (l’Efsf trasformato in European stability fund), che ha 142 miliardi di crediti verso Atene a fronte dei 21 dell’Fmi, ha reso noto che si riserva di valutare se considerare la Grecia insolvente anche verso di esso, e quindi attivare tutte le procedure del caso, dall’esazione forzata all’accorciamento delle scadenze.
È solo l’ultima tegola che piomba sulle spalle del Paese in questa lunghissima crisi debitoria cominciata il 23 aprile 2010 quando i Paesi europei accordarono alla Grecia i primi 110 miliardi di prestiti bilaterali (poco meno di 10 l’Italia). Poche settimane prima il premier socialista George Papandreou aveva dato a denti stretti l’annuncio: i conti dei governi precedenti erano truccati e anziché il 5 il deficit era del 12% del Pil (alla fine per il 2009 sarà del 15,6). Le agenzie di rating avevano abbassato senza esitazione la quotazione dei buoni del Tesoro fino al livello dei junk-bond e il 3 marzo 2010 Papandreou si era presentato contrito e pallido in Parlamento dando l’annuncio: «Il Paese è a rischio di bancarotta». A meno che, aggiunge, divenga operativo un pacchetto draconiano di misure di risanamento: tagli nella paga dei dipendenti pubblici con la riduzione del 30% dei bonus di Natale e Pasqua (un antico retaggio), aumento dell’Iva del 2% fino al 21 per la maggior parte dei beni, tasse più alte su alcol, tabacco, auto potenti, yacht, congelamento delle pensioni. Era il primo di una serie infinita di piani di austerity (sette compreso quello discusso ieri dall’Eurogruppo) e la premessa all’appello alla solidarietà internazionale accolto dall’Europa con l’appoggio della Bce e dell’Fmi. Oggi la Grecia deve ai creditori internazionali poco meno di 330 miliardi di euro, ma considerando i prestiti nel frattempo condonati o “ristrutturati”, cioè ridotti ( e i pochissimi restituiti), si sfiora l’asticella dei 500 miliardi. È questo il costo complessivo della crisi greca. Finora.
Nessuno aveva allora in mente quello che economisti autorevoli, da Stiglitz a Krugman, ripetevano: bastava prendersi in carico l’indebitamento iniziale, poco più di 100 miliardi spalmati sull’intera comunità internazionale, e la partita si sarebbe chiusa lì. Invece il 2 maggio 2010 i ministri dell’Eurozona accordano alla Grecia altri 120 miliardi di prestiti. I round di finanziamenti saranno quattro in tutto, con una serie di versamenti scaglionati nel tempo. È rimasto in sospeso solo l’ultimo da 7 miliardi. Il 7 maggio 2010 un summit straordinario crea un fondo di salvataggio europeo strutturato, l’Efsf, Fondo europeo di stabilità finanziaria, sede in Lussemburgo e dotazione anticrisi di 750 miliardi di euro. Si parla di eurobond ma i tedeschi fanno muro.
Basta un anno per constatare che i soldi non bastano. Il 24 giugno 2011 altro summit e altro salvataggio. Il dosaggio viene aumentato e si raggiunge l’accordo per 120 miliardi freschi per Atene, in massima parte a carico dell’Efsf, che intanto ha aperto linee di credito minori a favore di Irlanda e Portogallo. Saranno chiuse nel 2012 con la restituzione per intero di un’ottantina di miliardi. Per Atene invece siamo in pieno panico: il 21 luglio 2011, mentre si respira la paura per la tenuta dell’euro, si decide un nuovo piano di salvataggio per la Grecia da 109 miliardi. Le paure di crollo dell’euro penalizzano le economie più esposte come quella italiana: lo spread Btp-Bund raggiunge il record di 575 e porta alla caduta del governo Berlusconi il 9 novembre. Ma torniamo in Grecia. I debiti continuano ad accumularsi, e a complicare la situazione i fondi d’emergenza finiscono per due terzi a pagamento dei debiti con le banche tedesche e francesi, che hanno ingenti finanziamenti bloccati in Grecia, anziché all’economia reale del Paese. Ma in quel momento pochi sembrano notarlo e la centrifuga greca continua a drenare denaro da ogni parte. Il 27 ottobre 2011 parte il primo haircut sulle spalle dei governi (Bce e Fmi conservano il diritto di rimborso pieno): viene tagliato del 50%, in parte cancellato e in parte convertito in titoli a lunghissima scadenza (fino a 45 anni), un pacchetto di 150 miliardi di debiti. Un altro haircut seguirà a breve: senza queste misure il debito sarebbe al 240% del Pil e invece è “solo” al 175.
Il 30 marzo 2012 a Copenaghen l’Eurogruppo vara l’Esm, European Stability Mechanism, dotando la nuova cortina protettiva di 800 miliardi. La Grecia sottoscrive il secondo memorandum d’impegni e parte il quinto round di finanziamenti da 100 miliardi complessivi, erogati per il 93%, che è scaduto l’altra notte. All’inizio le cose si mettono bene: il 10 aprile 2014 la Grecia festeggia il ritorno sui mercati internazionali collocando 3 miliardi di titoli al 4,7%. Il decennale scende dal 44 al 5,7%. Ma è un’illusione. La macchina s’inceppa ancora una volta e all’inizio di quest’anno con l’arrivo di Syriza tutto si blocca.
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