Boko Haram colpisce anche in Camerun
«Involontariamente, e oserei dire non intenzionalmente, l’applicazione del Leahy Law Amendment da parte del governo degli Stati uniti ha aiutato e favorito i terroristi di Boko Haram».
Con questa critica lanciata dallo United States Institute for Peace mercoledì scorso, il presidente della Nigeria Muhammadu Buhari ha concluso la sua visita di quattro giorni alla Casa bianca.
Sotto accusa dunque l’amministrazione di Obama e la legge Leahy, che impedirebbe al governo americano la vendita di armi ai Paesi che violano i diritti umani. Eppure, durante questa prima visita del presidente nigeriano alla Casa bianca dopo la sua elezione a marzo scorso il problema sicurezza è stato al centro dei colloqui. A Buhari, che si è guadagnato la presidenza attraverso una consultazione elettorale democratica (prima transizione pacifica del potere per la Nigeria), Obama — oltre a riconoscergli «una chiara agenda» nella lotta contro Boko Haram nonché uno sforzo considerevole per sradicare la corruzione — ha promesso un forte sostegno militare.
Una promessa e un impegno rinnovato quello degli Usa che hanno già investito (da quando Buhari è stato eletto) 5 milioni di dollari a favore di una task force multinazionale contro Boko Haram. Strategie di buona condotta nell’intento di migliorare le relazioni economiche con la Nigeria — il più grande produttore di petrolio dell’Africa — soprattutto da quando quelle con altri Paesi africani come Egitto e Sudafrica si sono raffreddate. Sono migliaia le vittime e continui gli attacchi di Boko Haram — ormai non solo più di natura locale bensì transfrontaliera — nel corso degli ultimi sei anni, sia nelle zone rurali ed urbane soprattutto del nord-est, sia lungo i confini con i Paesi limitrofi.
Nelle due ultime settimane in particolare, in rappresaglia a un’offensiva militare lanciata dai governi regionali nel corso di quest’anno, gli attacchi kamikaze e i raid nei villaggi si sono intensificati.
Mercoledì scorso, in due diversi attentati attributi a Boko Haram, più di 40 persone sono rimaste uccise e più di 90 ferite. È successo nel nord della Nigeria, presso due stazioni dell’autobus nella città di Gombe (circa 29 i morti e 60 i feriti) già teatro di un altro attacco in un mercato lo scorso venerdì (50 i morti); e nel Camerun settentrionale, nella capitale della regione del Far North, Maroua (appena oltre il confine con Gombe), quartier generale delle operazioni dell’esercito camerunense nell’ambito della forza multiregionale contro il gruppo islamista (circa 13 morti e 32 feriti). E ancora, sono migliaia e migliaia gli sfollati che dalla Nigeria si riversano ai confini con Camerun e Niger, secondo quanto reso noto recentemente dall’Ufficio dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr).
Secondo quanto segnalato dalle autorità, circa 2.500 nigeriani sono arrivati a Diffa nel sud del Niger negli ultimi giorni, peggiorando una situazione umanitaria già disastrosa. Questo a seguito dei combattimenti intorno alla città nigeriana di Damasak, con i rifugiati che arrivano nei villaggi di Chetimari e Gagamari in Niger, dove più di 100.000 nigeriani si sono rifugiati a partire dalla metà del 2013.
Secondo le organizzazioni umanitarie, si stima che circa 150 mila persone si siano riversate a Diffa negli ultimi due anni, aumentando di un terzo la popolazione di una regione che soffre terribilmente la scarsità di cibo e dipende in gran parte dagli aiuti.
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