Alcune delle esperienze traumatiche causate dall’operazione militare “Protective Edge” sono state: la fuga da un bombardamento in corso, l’irruzione di soldati in casa durante la notte, essere utilizzati come scudi umani dall’esercito israeliano, avere la percezione di non essere mai in un posto sicuro, vedere distrutta la propria casa e perdere qualsiasi cosa, sopravvivere con una o più disabilità croniche. Delle 138.406 case danneggiate o distrutte durante l’ultima guerra, nessuna è stata ricostruita. Attualmente migliaia di bambini non hanno accesso all’istruzione e molti di quelli che riescono a raggiungere scuole o strutture adibite dall’UNRWA hanno scarsa capacità di concentrazione che riescono a riacquistare pian piano con il supporto di operatori e specialisti, poiché anche gli insegnanti molto spesso trovano difficoltà a gestire livelli così alti di stress. Solo nella parte della costa, quasi 300 edifici scolastici sono stati danneggiati da “Protective Edge”. In un contesto simile, il lavoro minorile diviene uno strumento di sopravvivenza.
Durante una visita al Gaza Community Mental Healt Program, Yasser Jamei, direttore generale, ha spiegato:“Durante l’ultima guerra noi del GCMHP siamo stati costretti a restare in casa, nonostante l’istinto ci spingesse inesorabilmente in strada per dare supporto ed aiuto alle persone. Noi specialisti della salute mentale dobbiamo cercare di preservarci, per quanto possibile, dai traumi perchè altrimenti come potremmo curare i bambini e la gente…E’ un compito estremamente difficile. Molti operatori di ONG, anche internazionali, sono scesi nelle strade, negli ospedali, durante i bombardamenti per dare il loro aiuto, si sono fatti guidare dall’istinto. Ma il risultato è stato che dopo poche settimane erano distrutti, traumatizzati, stressati, non in grado di operare. Ed è proprio quando finiscono di fumare le macerie che noi entriamo in azione. Perchè da lì il crollo è invisibile, ma egualmente devastante”. L’incubo più ricorrente per i bambini di Gaza è il serpente, rappresentazione di un male incontrollabile, ostile ed insidioso. “Ascoltano la radio, guardano la TV, vedono cadaveri, sentono le bombe, il rumore assordante dei vetri che scoppiano, ascoltano storie di guerra. Sono terrorizzati”. Le parole del fondatore del Gaza Community Mental Healt Program, Eyad Serraj, anche se riferite all’attacco armato del 2012, sono tristemente attuali.
Lo scenario che si disegna è preoccupante; rappresenta un quadro in cui il bambino si trova chiuso in una spirale di traumi dalle quale non gli è possibile uscire perchè le uniche vie di fuga, le relazioni familiari e sociali, sono a loro volta compromesse e “traumatizzate”. Uno scenario caratterizzato da un’eterna, angosciante attesa del prossimo bombardamento.
* Eleonora Pochi è una giornalista pubblicista e una esperta di servizi sociali. Di recente ha visitato Gaza