ATENE . Syriza in rivolta. Il Parlamento blindato dalla polizia. Migliaia di persone in Syntagma a manifestare contro il Governo. Poi, alla sera, persino i botti sordi delle molotov e l’odore acre di lacrimogeni, come ai tempi di Nea Demokratia. E’ stata una vittoria amarissima quella che Alexis Tsipras – salvo improbabili sorprese dell’ultima ora- si è portato a casa ieri. Il pacchetto di riforme da 3,1 miliardi necessario a sbloccare gli 83 miliardi di aiuti di Ue, Bce e Fmi e a salvare il paese dal default era ancora in discussione in aula a tarda sera. Il via libera però appariva scontato. Il partito del presidente del Consiglio – assente a sorpresa durante il dibattito – si è presentato alla chiama in ordine sparso dopo una giornata ad altissima tensione. Una quarantina di deputati – tra cui la presidente della Camera Zoe Konstantopoulou e Yanis Varoufakis – erano pronti a dire “no”. Non abbastanza, però, per far deragliare il provvedimento, visto che l’opposizione di Nd, Pasok e To Potami ha schierato i suoi 106 voti (su 300) a fianco di Tsipras, cui bastava l’ok di 45 dei 149 deputati di Syriza per saltare questo primo ostacolo.
IL DRAMMA DI SYRIZA
Un “no” al pacchetto avrebbe portato Atene dritta dritta alle elezioni e verso il baratro della Grexit. Il sì regala invece al premier una piccola boccata d’ossigeno. Nelle prossime ore dovrà affrontare un rimpasto di governo e decidere se tirare dritto con un esecutivo di minoranza o lasciare spazio a uno di unità nazionale. L’ok in Parlamento sblocca però i prestiti necessari per pagare la Bce – lunedì scade una rata da 3,5 miliardi – e l’Fmi (2 miliardi) e per allentare il cappio dei controlli sui capitali.
Le ultime drammatiche ore lasciano a Tsipras un’eredità pesantissima: Syriza è stata ieri sul punto di andare a pezzi. E solo un tesissimo confronto prima del dibattito – “o state con me o domani potrei non essere più primo Ministro”, ha minacciato – è riuscito a tenere insieme, per ora, i cocci di quel che resta del partito che sei mesi fa ha stravinto le elezioni con il 36,3%.
La via crucis del presidente del consiglio è iniziata di prima mattina con la città presidiata da migliaia di poliziotti e la conferma delle dimissioni di Nadia Valavani, viceministro dell’Economia. Uno strappo doloroso non solo perché è la mente del programma fiscale dell’esecutivo, ma soprattutto perché è sua amica da una vita. Il sassolino della Valavani si è ingrossato nel pomeriggio fino a diventare una valanga. Alle 15 ben 107 membri del Comitato centrale (su 201) hanno firmato un documento chiedendo l’immediata convocazione del massimo organo di Syriza: «L’intesa non rispecchia i valori della sinistra», il titolo lapidario. «E’ come il trattato di Versailles», ha tuonato Varoufakis. Subito dopo ha fatto outing il segretario Tassos Koronakis: «Il governo deve dimettersi. Andiamo a elezioni in novembre».
L’ASSALTO ALLA BANCA CENTRALE
A tre ore dall’inizio del dibattito, tra i leader del partito volavano gli stracci. zNon appoggerò un memorandum che uccide la Grecia – ha assicurato Panagiotis Lafazanis, leader della minoranza di Piattaforma di sinistra – . Ci sono alternative». Quali? Secondo Kathimerini, le avrebbe squadernate alla vigilia durante un summit segreto della corrente: l’irruzione con la polizia nella zecca di Holargos per mettere la mani sui 22 miliardi di riserve della Banca di Grecia e usarle per pagare stipendi e pensioni. In attesa, ovvio, di tornare alla dracma.
Quando alle 16 è iniziato il gruppo parlamentare, l’atmosfera – malgrado il bacio tra Tsipras e Konstantopoulou e l’applauso scrosciante all’ingresso del premier – era da psicodramma. «Votiamo contro le riforme ma sosteniamo il governo », è stato il mantra contraddittorio dei ribelli. «Chi non sta con noi, vota come Schaeuble», li ha minacciati il primo ministro. Tutti gli hanno assicurato di non voler far cadere l’esecutivo, sciogliendo un po’ la tensione. Ma tutti – con logica un po’ contorta – sono rimasti sulle loro posizioni. Konstantopoulou, dopo il bacio di Giuda, ha cercato in ogni modo di rimandare il voto per superare la mezzanotte, orario da Cenerentola entro cui – come da ultimatum della ex Troika – era necessario dare l’ok al provvedimento.
Il dibattito in aula è stato surreale. Con mezza opposizione ad attaccare la maggioranza e mezza opposizione a difenderla e con tutti a prendere le distanze dalle riforme, salvo poi chiedere di votarle. «Questa decisione mi peserà sul cuore per tutta la vita» ha detto il ministro delle finanze Euclid Tsakalotos. «Non difendo il provvedimento, ma la necessità di approvarlo«, ha detto mesto per Syriza Dimitris Vitsas. Obiettivo: non lasciare impronte digitali sul memorandum lacrime e sangue che sconfessa tutte le promesse elettorali del partito. I leader di Nd e To Potami non hanno parlato per accorciare i tempi e provare a chiudere prima di mezzanotte.
COSA ACCADE ORA
Cosa succederà dopo lo strappo di ieri? Il piano del premier è chiaro: tirare dritto con la maggioranza attuale tra quel che resta del suo partito e Anel cercando di volta in volta in aula i voti (ovviamente della minoranza). Nelle prossime ore sarà comunque necessario un rimpasto del governo per rimpiazzare i ministri dimissionari mentre il Comitato centrale potrebbe chiedere l’espulsione dal Parlamento dei ribelli. L’esecutivo di minoranza avrebbe davanti un mese di navigazione: il tempo di dire sì alle richieste della Troika, ratificare il compromesso, incassare gli aiuti, riaprire le banche e probabilmente- portare il paese a elezioni.
L’alternativa è prendere atto che in aula si è creata una nuova maggioranza, piuttosto robusta, che va dal centrodestra di Nea Demokratia ai socialisti del Pasok fino al centro riformista di To Potami e alle colombe di Syriza. Ue, Bce e Fmi spingono da tempo per arrivare a una soluzione di questo tipo. Alla guida di questo governo non ci sarebbe però Tsipras: «Non sono un uomo per tutte le stagioni – ha ribadito negli ultimi giorni –. Se nell’esecutivo entreranno altri partiti, non sarò io a guidarlo». Il timore, giustificato, è trovarsi a governare la Grecia con gli uomini e i partiti che l’hanno portata nel baratro. L’ultima beffa dopo la giornata amarissima di ieri.