Atene, «liberalizzazioni» all’italiana

by redazione | 16 Luglio 2015 9:46

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C’è un’innovazione lin­gui­stica. Avrà for­tuna per­ché viene da Bru­xel­les: è dun­que auto­re­vole.
Adesso si deve dire «libe­ra­liz­za­zioni», e non più «pri­va­tiz­za­zioni» come s’usava finora. Dal punto di vista della psi­co­lo­gia di massa, che è quello che conta, la tro­vata è scelta bene. Infatti evoca l’idea della «libertà», che piace, anzi­ché un banale pas­sag­gio di mano di carat­tere eco­no­mico, che avviene invece nella realtà.

Se l’Europa aggrava le situa­zioni che dovrebbe risol­vere — ora con la Gre­cia -, dal punto di vista della comu­ni­ca­zione è un por­tento. Fra le tante, dure e assai umi­lianti con­di­zioni impo­ste oggi alla Gre­cia, c’è la «libe­ra­liz­za­zione» dei set­tori por­tanti dell’economia, finora con­trol­lati dallo stato. Il rap­porto fra que­sto pesan­tis­simo onere impo­sto e il «sal­va­tag­gio» del paese, è dif­fi­cile da argo­men­tare, ma intanto si va avanti per la strada segnata a Bruxelles.

In ter­mini eco­no­mici dovrebbe trat­tarsi di beni di valore assai grande — si tratta del patri­mo­nio di uno stato sovrano, anche se nel qua­dro dell’economia euro­pea non è di dimen­sioni molto grandi -, che si vuole dare in garan­zia per finan­zia­menti che invece non ven­gono ancora esat­ta­mente defi­niti. Per ora, dun­que, c’è solo la cer­tezza dei pegni impo­sti. Nor­mal­mente le garan­zie si chie­dono senza intac­care la pro­prietà dei beni, che ver­ranno for­za­ta­mente tolti al debi­tore solo in caso d’inadempienza. Il pas­sag­gio del bene dal debi­tore al cre­di­tore si potrebbe giu­sti­fi­care infatti con l’inadempienza, ma non come misura pre­ven­tiva a pre­scin­dere dal paga­mento del dovuto.

Per la Gre­cia non sarà così. L’imposizione di una simile con­di­zione viene fatta insomma indi­pen­den­te­mente dall’effettivo com­por­ta­mento del debi­tore rispetto al suo debito. Que­sta con­di­zione implica l’imposizione di un sistema eco­no­mico nuovo per la Gre­cia: que­sta inno­va­zione si fonda sulla pri­va­tiz­za­zione coatta dei set­tori più impor­tanti dall’economia greca. Pro­ta­go­ni­sti prin­ci­pali di que­sta tro­vata sono il mini­stro delle finanze tede­sco Wol­fgang Schäu­ble e la can­cel­liera fede­rale Angela Merkel.

Que­sto mec­ca­ni­smo pre­senta un punto di prin­ci­pio par­ti­co­lar­mente impor­tante. L’Europa, nella sua gestione di fatto non elet­tiva ma dele­gata a super-funzionari desi­gnati dai governi, si rende pro­ta­go­ni­sta di una radi­cale tra­sfor­ma­zione del sistema comu­ni­ta­rio. Al posto di una strut­tura eco­no­mica di stampo libe­rale, che con­sen­tiva la con­vi­venza di ini­zia­tiva pri­vata e ini­zia­tiva eco­no­mica con­trol­lata dallo stato (sistema che peral­tro rimane in vigore in Ger­ma­nia), per la Gre­cia si sta­bi­li­sce che sol­tanto la prima espres­sione — quella di carat­tere pri­va­ti­stico — debba avere il ruolo di pro­ta­go­ni­sta nei gan­gli più delicati.

Que­sto punto d’arrivo non era impre­ve­di­bile. Qual­cosa di molto simile era stata spe­ri­men­tata per l’Italia, dove l’economia pub­blica era con­si­de­rata un feno­meno da «nor­ma­liz­zare». Fu orga­niz­zato un con­ve­gno (2 giu­gno 1992), al quale venne man­dato il diret­tore gene­rale del tesoro, Mario Dra­ghi, il quale illu­strò alla finanza inter­na­zio­nale i beni del patri­mo­nio indu­striale, finan­zia­rio e ban­ca­rio da offrire a inve­sti­tori di tutto il mondo. Le pri­va­tiz­za­zioni vere e pro­prie ven­nero rea­liz­zate fra il 1992 e il 1999 (governi Prodi, Amato, Ciampi e Dini). La ces­sione della quota di mag­gio­ranza dell’Eni (1998) fu voluta dal governo Prodi.

Il primo espe­ri­mento — per­fet­ta­mente riu­scito, dal punto di vista di chi aveva sug­ge­rito il piano a da quello degli acqui­renti — fu dun­que rea­liz­zato in Ita­lia, nel giro di pochi anni con la ces­sione di quasi l’intero patri­mo­nio mobi­liare del paese, aprendo la strada anche ai passi suc­ces­sivi (non ancora inte­ra­mente com­piuti) delle fer­ro­vie, delle poste e delle linee aeree.

In Ita­lia l’operazione riu­scì nelle sue linee por­tanti, ma è rima­sta ancora incom­piuta nell’ultima parte. Non deve sor­pren­dere rico­no­scere in que­sti pro­grammi, gli stessi nomi. Chi, nella pra­tica rea­liz­za­zione del pro­getto volle alie­nare la parte di capi­tale che lasciava ancora nelle mani dello stato ita­liano la mag­gio­ranza dell’Eni — il motore dello svi­luppo ita­liano del dopo­guerra — si chia­mava Romano Prodi.

Per l’Italia, que­gli oneri pote­vano anche con­si­de­rarsi la pro­ie­zione dell’onda lunga deri­vante dalla scon­fitta bel­lica: si voleva la tra­sfor­ma­zione di un sistema eco­no­mico, in cui il set­tore pub­blico era rite­nuto troppo potente. Dopo la seconda guerra mon­diale ope­ra­zioni ana­lo­ghe furono impo­ste a tutti i paesi scon­fitti, fra i quali fu natu­ral­mente anche la Germania.

Con la Gre­cia, oggi la situa­zione è diversa, e la moti­va­zione per l’imposizione delle pri­va­tiz­za­zioni sem­bra pre­va­len­te­mente ideo­lo­gica, con una fun­zione di monito estesa a tutto il con­ti­nente. Ad Atene c’è un governo di sini­stra che ha vinto le ele­zioni, c’è un par­la­mento con una sini­stra — con una parte che si dichiara «comu­ni­sta» — molto forte. Viene con­si­de­rata un’anomalia grave nel sistema euro­peo. Si aggiunge un «eccesso» di demo­cra­zia, che alla buro­cra­zia dell’Europa non piace. Al governo ci sono lea­der che hanno vinto demo­cra­ti­ca­mente le ele­zioni, e sono per ciò espres­sione diretta dell’elettorato, ma que­sto non basta. Per­ché il sistema di potere dell’Ue è basato su una pat­tu­glia instal­lata al potere non in virtù di voto popo­lare, ma per desi­gna­zione dei governi e dei mec­ca­ni­smi di potere interni al sistema Ue, che non è demo­cra­tico. Ma non gra­di­sce che que­sto venga notato.

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