Unità speciali dei Marines imbarcate sulle navi alleate Si parte con l’italiana Cavour
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WASHINGTON C’è un piano del Pentagono per schierare nuclei di Marines americani a bordo di unità alleate. E la prima a ospitarli sarà la portaerei italiana «Cavour». Data di imbarco: settembre. A seguire la britannica «Ocean», quindi navi di Spagna, Francia, Olanda.
Tutte in grado di accogliere sul ponte i velivoli a decollo verticale Osprey, usati per missioni speciali.
Il programma, discusso nuovamente in questi giorni e raccontato da «Marines Times» (il giornale del Corpo) è legato a tre necessità. La prima, evidente, riguarda l’instabilità ormai cronica nella parte sud del Mediterraneo, dalla Tunisia alla Libia. E Washington vuole mandare un messaggio ai partner della Nato: siamo letteralmente al vostro fianco.
La seconda è aiutare le forze amiche con reparti di pronto intervento e buona esperienza in caso si verifichino situazioni d’emergenza.
Infine un segnale, sia pure lontano, ai russi che da poco hanno mostrato bandiera a sud di Malta insieme ai cinesi.
Il comando mobiliterà i Marines dello «Special Purpose Marine-Air Ground Task Force Crisis Response-Africa». Sigla lunghissima che indica il contingente di circa 1.700 militari distribuiti, dal 2013, tra Italia, Spagna e Romania. Un distaccamento sempre in allarme con una proiezione verso il Nord Africa. Per capirci: se un’ambasciata statunitense fosse in pericolo toccherebbe a questi soldati agire.
Una risposta dopo la tragedia di Bengasi quando il consolato americano rimase senza difese e l’ambasciatore Chris Stevens venne assassinato.
Allora si disse che se anche si fosse voluto non c’erano forze disponibili per tentare un salvataggio in extremis.
Nelle prossime settimane, i tecnici dei Marines metteranno a punto i dettagli per capire quali navi possono essere inserite nel programma. Servono alcuni requisiti e saranno necessari dei test. La tabella di marcia prevede un primo impiego dopo l’estate — e qui entra in scena la portaerei italiana «Cavour» — in concomitanza con l’imponente esercitazione navale «Trident Juncture», con la partecipazione di quasi 25 mila militari della Nato che si muoveranno tra Italia, Spagna e Portogallo. Un mese di manovre dove l’Alleanza proverà sistemi e tempi di reazione in caso di un attacco nemico.
L’Osprey — noto anche come MV 22 e in grado di trasportare fino a 32 soldati — sarà accompagnato da fanti di marina, uomini della logistica e meccanici. Il team americano simulerà missioni in territorio ostile e affinerà il coordinamento con i reparti europei. Questo in linea con le operazioni congiunte condotte in questi anni su diversi teatri.
A cominciare dalla presenza dei nostri caccia a protezione dello spazio aereo lituano. Secondo «Marines Time» il piano sarà discusso, insieme ad altri punti piuttosto urgenti, al prossimo vertice della Nato. Compresa la creazione di depositi di materiale bellico statunitense in alcuni Stati dell’Europa del Nord.
Il Pentagono ha presentato l’idea del duo Osprey-Marines come un’alternativa economica e rapida alla mancanza di un numero adeguato di unità anfibie. O meglio, le navi ci sono ma sono troppe le aree da coprire.
Se guardiamo la mappa geografica non si contano le bandierine rosse che indicano i punti di crisi. E il timore che se ne aggiungano presto altri.
Il programma, discusso nuovamente in questi giorni e raccontato da «Marines Times» (il giornale del Corpo) è legato a tre necessità. La prima, evidente, riguarda l’instabilità ormai cronica nella parte sud del Mediterraneo, dalla Tunisia alla Libia. E Washington vuole mandare un messaggio ai partner della Nato: siamo letteralmente al vostro fianco.
La seconda è aiutare le forze amiche con reparti di pronto intervento e buona esperienza in caso si verifichino situazioni d’emergenza.
Infine un segnale, sia pure lontano, ai russi che da poco hanno mostrato bandiera a sud di Malta insieme ai cinesi.
Il comando mobiliterà i Marines dello «Special Purpose Marine-Air Ground Task Force Crisis Response-Africa». Sigla lunghissima che indica il contingente di circa 1.700 militari distribuiti, dal 2013, tra Italia, Spagna e Romania. Un distaccamento sempre in allarme con una proiezione verso il Nord Africa. Per capirci: se un’ambasciata statunitense fosse in pericolo toccherebbe a questi soldati agire.
Una risposta dopo la tragedia di Bengasi quando il consolato americano rimase senza difese e l’ambasciatore Chris Stevens venne assassinato.
Allora si disse che se anche si fosse voluto non c’erano forze disponibili per tentare un salvataggio in extremis.
Nelle prossime settimane, i tecnici dei Marines metteranno a punto i dettagli per capire quali navi possono essere inserite nel programma. Servono alcuni requisiti e saranno necessari dei test. La tabella di marcia prevede un primo impiego dopo l’estate — e qui entra in scena la portaerei italiana «Cavour» — in concomitanza con l’imponente esercitazione navale «Trident Juncture», con la partecipazione di quasi 25 mila militari della Nato che si muoveranno tra Italia, Spagna e Portogallo. Un mese di manovre dove l’Alleanza proverà sistemi e tempi di reazione in caso di un attacco nemico.
L’Osprey — noto anche come MV 22 e in grado di trasportare fino a 32 soldati — sarà accompagnato da fanti di marina, uomini della logistica e meccanici. Il team americano simulerà missioni in territorio ostile e affinerà il coordinamento con i reparti europei. Questo in linea con le operazioni congiunte condotte in questi anni su diversi teatri.
A cominciare dalla presenza dei nostri caccia a protezione dello spazio aereo lituano. Secondo «Marines Time» il piano sarà discusso, insieme ad altri punti piuttosto urgenti, al prossimo vertice della Nato. Compresa la creazione di depositi di materiale bellico statunitense in alcuni Stati dell’Europa del Nord.
Il Pentagono ha presentato l’idea del duo Osprey-Marines come un’alternativa economica e rapida alla mancanza di un numero adeguato di unità anfibie. O meglio, le navi ci sono ma sono troppe le aree da coprire.
Se guardiamo la mappa geografica non si contano le bandierine rosse che indicano i punti di crisi. E il timore che se ne aggiungano presto altri.
Guido Olimpio
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