BUDAPEST . Quando l’annuncio è venuto, non voleva crederci nessuno: in Europa, con Orbàn e con la marea dei migranti, torna l’èra dei Muri, proprio quei Muri della cui caduta Orbàn allora giovane dissidente liberal fu coraggioso protagonista.
Sembra un incubo eppure è vero: il governo nazional-conservatore ed euroscettico ungherese ha annunciato che costruirà un Muro lungo tutta la frontiera con la Serbia. Un Muro per bloccare la marea umana di siriani, e africani che attraverso il ventre molle balcanico, dopo aver superato pericoli e insidie, cercano di arrivare al confine magiaro per entrare nell’Unione europea e nello spazio di Schengen. Da domani non sarà più possibile, è il messaggio.
Arriva il muro di Orbàn, con cui il premier osteggiato e visto con sfiducia in tutta la Ue vuole rifarsi verginità e credibilità politica. Abile come sempre, mi dice un alto diplomatico d’un Paese chiave della Vecchia Europa, il premier magiaro sa come muoversi, «un po’ scacchista e un po’ giocatore di poker», cogliendo di sorpresa chiunque lo critichi, nel momento più giusto».
Annuncio inatteso, come un fulmine sebbene il cielo dell’Europa spaventata dai migranti non sia sereno, meno che mai qui nel torrido caldo danubiano. «Il governo», ha annunciato freddo e preciso alle 13 locali il portavoce dell’esecutivo, Péter Szìjjàrtò, «ha dato al ministro dell’Interno Sàndor Pinter l’incarico vincolante di costruire una barriera lungo il confine con la Serbia». È la prima volta in assoluto, nella vita dell’Unione europea dopo la caduta della Cortina di ferro, di una barriera che separa un pezzo d’Europa dall’altro. La Memoria rammenta amara che fu proprio in Ungheria, 26 anni fa, che incoraggiati dalla rivolu- zione diSolidarnosc e dei generali in Polonia i comunisti riformatori allora al potere ma consci di stare per perderlo aprirono una prima breccia nel muro. Quando guardie di frontiera magiare e austriache insieme tagliarono con le cesoie i primi tratti di filo spinato, tarda primavera del 1989. E quando pochi mesi dopo, il 16 settembre , l’Ungheria invasa da cittadini della Ddr in fuga decise di lasciarli passare oltre il confine austriaco, con l’accordo di Gorbaciov e Kohl e sfidando i gerarchi tedesco-orientali, cecoslovacchi e romeni, da Honecker a Bilak a Ceausescu che minacciò attacchi missilistici contro il Paese magiaro.
Le mille coppie miste tra cittadini tedeschi dell’est e occidentali che nacquero allora a Budapest, nel campo profughi di Zugliget, che l’esercito magiaro difendeva dalle spie della Stasi, sono soltanto memoria. Il Muro che risorge ora non sarà un vero Muro, avvertono i portavoce del governo, confermati da osservatori e diplomatici occidentali. Ma un solido, robusto, invalicabile reticolato alto 4 metri. Lungo i 175 chilometri della frontiera tra Ungheria e Serbia.
«I lavori preparatori per la chiusura della frontiera dovranno essere ultimati entro mercoledì prossimo (24 giugno, ndr) , poi il primo luglio informeremo di ogni dettaglio i nostri partner», ha precisato Szìjjàrtò. E intanto l’Unhcr, l’Alto commissariato Onu per i rifugiati, protestava contro i manifesti ufficiali magiari volti a dissuadere i migranti, condannandoli come razzisti.
Il premier serbo Aleksander Vucic ha replicato all’annuncio dichiarandosi «sorpreso e shockato. La Serbia è solo un Paese di transito per i migranti». Mentre la portavoce Ue Natasha Bertaud ribadiva che «la Ue non promuove l’uso di recinzioni e incoraggia gli Stati membri ad adottare misure alternative per sorvegliare le frontiere».
Attenti però, non è tutta colpa di Orbàn, dicono qui a Budapest in molti. Il piccolo Stato balcanico, erede della Jugoslavia senza mezzi né know-how , non ha saputo dimenticare il passato delle guerre di Milosevic, suggeriscono fonti Nato, non si è mostrato capace di mostrare alcuno sforzo per avvicinarsi all’Unione europea. Neanche per il controllo della frontiera. Al contrario: Belgrado ha a lungo dato l’impressione di voler lasciar passare tutti, le sue guardie di frontiera raccontano ai poveracci in fuga dalla Siria, dalla Libia, dalla Macedonia della quasi guerra civile o da ovunque altrove, che passando quel confine verso la Magyar Koeztarsasàg troveranno libertà di movimento all’interno della Ue. Quindi pane e lavoro. Ha persino istigato i giovani del Kosovo, ex provincia ribelle adesso riconosciuta da Berlino e molti altri, ad andarsene.
Almeno una cosa bisogna riconoscere a Orbàn: a suo modo ha preannunciato la scelta. «Non riteniamo giusto che i serbi ci spediscano tutti questi profughi, ci riserviamo il diritto di prendere adeguate contromisure », aveva detto pochi giorni fa il premier ungherese. E aveva aggiunto, preciso e ammonitore: «Noi ci teniamo ogni opzione aperta, compresa quella di una totale chiusura del confine serbo». Detto, fatto.
Le cifre d’altronde parlano: nel 2012 i profughi entrati nella Ue attraverso l’Ungheria erano stati appena 2mila, l’anno scorso sono invece saliti a 43mila, quanti tutti gli abitanti di una media città ungherese. Chi non ha ascoltato Orbàn allora, lo ha frainteso. Non è uomo di mezze misure. È arrivato recentemente persino a sfidare la Ue alludendo a una reintroduzione della pena di morte, poi solo le urla di Merkel e Juncker lo hanno indotto a frenare. «Ma figuriamoci », mi dice un amico dissidente ieri sotto la dittatura comunista e oggi sotto questo governo, «se esita a colpire duro contro i serbi che non vigiliano i confini: si mette semplicemente in sintonia con le numerose voci nella Ue, di destra ma non solo, che dicono basta alla marea umana».
Tranquillità che inganna, traffico caotico, belle ragazze e folla nello shopping della borghesia vicina al partito del premier: così si presentava oggi Budapest nel caldo d’un’estate precoce, quando l’annuncio è venuto. I deboli e divisi partiti d’opposizione progressista (socialisti dell’ex governo corrotto, verdi, altri minori) tacciono. E tace Jobbik, ultradestra neonazista e razzista che non fa che crescere nei consensi e ha seguito persino nelle migliori università da quando Orbàn è al potere, ma certo ai “camerati” la misura non dispiace. Anche a loro, come a tutte le destre radicali finanziate o appoggiate da Putin nella Ue, dànno gioia i Muri che risorgono.