Tsipras: «No ai ricatti e agli ultimatum». E annuncia il referendum il 5 luglio

Tsipras: «No ai ricatti e agli ultimatum». E annuncia il referendum il 5 luglio

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Grecia. Il 5 luglio referendum sull’accordo proposto dei creditori. Nel frattempo chiesta un’estensione dei finanziamenti. Sulla legittimità del referendum si esprimerà il Parlamento. Ieri giornata di tensione in attesa del nuovo Eurogruppo di oggi. Atene sembra indirizzata verso un default con la volontà di rimanere dentro l’euro, ma potrebbe annunciare che non verrà pagato il debito. La palla a quel punto passerebbe ai creditori

Tor­nato ad Atene, da Bru­xel­les, Tsi­pras ha rimesso nelle mani del popolo greco la deci­sione sulla pro­po­sta dei cre­di­tori. Il 5 luglio un refe­ren­dum, che dovrà essere prima rati­fi­cato dal par­la­mento (ma Syriza ha i numeri per appro­varlo), sta­bi­lirà se la Gre­cia accet­terà o meno le ultime pro­po­ste delle «istituzioni».

Tsi­pras, come altri mini­stri, si è già espresso per il «no» in modo chiaro, ma il governo farà deci­dere alla popo­la­zione greca. La deci­sione di Ale­xis Tsi­pras è giunta al ter­mine di una gior­nata con­vulsa, di grande ten­sione, pro­prio quando sem­brava deci­sivo l’incontro di oggi, tra pes­si­mi­smo e sce­nari apocalittici.

Se sarà no, si va verso uno sce­na­rio di default con­trol­lato, ma senza uscire dall’euro. A quel punto saranno i cre­di­tori a dover accet­tare, ingo­iando un boc­cone amaro, o sbat­tere la Gre­cia fuori dall’euro.

Ieri, infatti, dopo l’ennesimo ver­tice con Mer­kel e Hol­lande, nell’ennesima gior­nata tesa vis­suta a Bru­xel­les, il pre­mier greco Ale­xis Tsi­pras aveva respinto l’ultima offerta dei cre­di­tori spe­ci­fi­cando che Atene non avrebbe accet­tato «ulti­ma­tum e ricatti». Il pre­stito di 12 miliardi fino a novem­bre, con un’aggiunta di 3,5 miliardi imme­diati del Fmi in cam­bio da subito delle riforme richie­ste (altra auste­rity) e di nes­sun accordo sostan­ziale sul debito è stato giu­di­cato da Syriza una trap­pola che non scio­glie i nodi e che, molto pro­ba­bil­mente, avrebbe por­tato il governo a trat­tare un terzo memo­ran­dum a Natale con un paese sem­pre in ginoc­chio e senza più con­senso sociale e politico.

Soprat­tutto dopo i recenti ten­ta­tivi di Bru­xel­les nel son­dare altri par­titi poli­tici, un ten­ta­tivo di golpe soft, una strada che le «isti­tu­zioni» sto­ri­ca­mente cono­scono bene: com­prare la con­tro­parte per ren­derla mal­lea­bile oppure sca­ri­carla con un governo tec­nico di unità nazionale.

Tsi­pras ha detto di no, con­fer­mando le parole del mini­stro delle finanze Varou­fa­kis, che aveva defi­nito «non pra­ti­ca­bile» l’accordo e che oggi dovrà affron­tare un duris­simo Euro­gruppo (l’undicesimo sulla Gre­cia), e una volta giunto ad Atene ha con­vo­cato un con­si­glio dei mini­stri d’emergenza per pren­dere le deci­sioni imme­diate dopo il no a Bru­xel­les. La que­stione a que­sto punto, non ha a che fare con la ragio­ne­ria e l’economia, bensì con la politica.

Men­tre scri­viamo la riu­nione è ancora in corso. Ma Atene, molto pro­ba­bil­mente, si avvi­ci­nerà al default con la volontà di rima­nere den­tro l’euro. Salvo sor­prese, sicu­ra­mente saranno dram­ma­tiz­zati i toni e attuate tutte le misure neces­sa­rie a bloc­care i movi­menti di capi­tali inclusi i ban­co­mat. Il debito pub­blico greco è dete­nuto, all’80%, da fondi Ue, paesi mem­bri, Bce e Fmi. Per­ciò la palla per ora è soprat­tutto nel campo dell’Europa che all’Eurogruppo di oggi dovrà deci­dere se accet­tare la «ribel­lione» greca e con­trol­lare gli esiti di un ine­vi­ta­bile default suc­ces­sivo al Gre­xit (ipo­tesi cal­deg­giata ieri dal pre­mier bri­tan­nico Came­ron, che l’ha per­fino «con­si­gliato» a Merkel).

Oppure nego­ziare su basi diverse . Atene infatti non ha alcuna inten­zione di annun­ciare motu pro­prio un’uscita dalla moneta unica, che si scon­tre­rebbe con le pro­messe elet­to­rali e con la volontà popo­lare: più pro­ba­bile che ci pos­sano essere gior­nate di «pre­pa­ra­zione» a un’uscita, sem­pre che sia cau­sata dai creditori.

Che l’aria sia cam­biata ieri, in un tur­bine di dichia­ra­zioni a seguito del sup­po­sto «no» greco, lo hanno dimo­strato fonti euro­pee che hanno comin­ciato a par­lare di un «piano B», una sorta di «qua­ran­tena eco­no­mica» che dovrebbe pre­ve­dere un default con­trol­lato. Dra­ghi e i cre­di­tori sanno che quei soldi sono ormai persi (il 30 scade la dop­pia tran­che al Fmi) e devono riflet­tere se con­ti­nuare a soste­nere il sistema finan­zia­rio, man­te­nendo la Gre­cia all’interno dell’euro dando però fiato ai «ribelli», vedi Pode­mos (a novem­bre ci saranno le ele­zioni in Spa­gna), oppure dare la vit­to­ria ai fal­chi alla Schäu­ble, con una «cac­ciata» della Gre­cia che potrebbe sca­te­nare un inde­si­de­rato effetto domino.

L’ipotesi del default con­trol­lato, dun­que, poli­ti­ca­mente potrebbe essere l’opzione più sag­gia, anche se, gioco forza, segne­rebbe un suc­cesso per Tsi­pras, per­ché dimo­stre­rebbe la pos­si­bi­lità poli­tica di ristrut­tu­rare il debito con la tro­jka. Un momento sto­rico che, così come un’eventuale «Gre­xit», potrebbe dare vita a feno­meni poco gra­diti ai cre­di­tori. La que­stione è dun­que pura­mente poli­tica e com­porta rifles­sioni che coin­vol­gono tutta l’Europa.

Qual­siasi deci­sione verrà presa, l’unione eco­no­mica come l’abbiamo con­ce­pita fino ad oggi, non sarà più. Del resto, il «con­tro piano» pre­sen­tato con pre­sun­zione dalle «isti­tu­zioni» (con quelle cor­re­zioni in rosso, sot­to­li­neate anche dalla stampa inter­na­zio­nale, come il Guar­dian, che al con­tra­rio di certi com­men­ta­tori nostrani, rispetta il fatto che un governo di sini­stra possa dire di no alle impo­si­zioni di chi fino ad ora ha sca­ra­ven­tato un intero paese in una crisi uma­ni­ta­ria senza pre­ce­denti) era parso fin da subito inac­cet­ta­bile ai greci.

Nella serata di ieri Tsi­pras è tor­nato ad Atene per infor­mare il governo e il paese sullo stallo dei nego­ziati, men­tre veni­vano rila­sciati alcuni stralci di un docu­mento pro­dotto da Atene, nel quale veniva riba­dito il «no» all’accordo proposto.

Secondo il governo greco si trat­te­rebbe di un’intesa che por­te­rebbe ad una nuova «cata­strofe uma­ni­ta­ria». «Lo ster­mi­nio del nostro popolo», secondo il mini­stro del Lavoro. Il governo greco, si legge, «non ha il man­dato popo­lare per accet­tare simili richieste».

Nei 7 punti del docu­mento di Atene si legge che «la pro­po­sta da parte delle isti­tu­zioni com­por­te­rebbe pro­fonde misure reces­sive, che faranno male al tes­suto sociale già ferito del Paese, come pre-condizione per cin­que mesi di finan­zia­mento, che in ogni caso, è stato giu­di­cato del tutto ina­de­guato. Se que­sta pro­po­sta venisse accet­tata dal governo e dal par­la­mento, la popo­la­zione e i mer­cati dovreb­bero affron­tare altri cin­que mesi di ulte­riore auste­rity, che por­te­rebbe ad un altro nego­ziato in con­di­zioni di crisi. Que­sto è uno dei motivi per cui la pro­po­sta delle isti­tu­zioni non può essere accolta». Lo scopo dei cre­di­tori è chiaro: stroz­zare per cin­que mesi il paese, per por­tarlo ad un nego­ziato in con­di­zioni migliori (per loro).

E men­tre in serata la Reu­ters, citando fonti euro­pee, soste­neva che in realtà le parti sareb­bero più vicine di quanto sem­bri, altre fonti testi­mo­nia­vano una rot­tura che appare insa­na­bile. L’infinito «gioco del cerino» ini­ziato cin­que mesi, ormai è alle ultime battute.

L’Eurogruppo straor­di­na­rio, fis­sato ini­zial­mente alle 17, è stato anti­ci­pato alle 14, ma l’aria che tira è delle peg­giori. Il pal­lino, in quella sede, ce l’avranno soprat­tutto Dra­ghi e Angela Mer­kel, due figure che sulla difesa della moneta unica «costi quel che costi» hanno scom­messo tutte le pro­prie carte.



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