Stop al sultano Erdogan per mano del piccolo curdo
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Con oltre il 40 per cento dei voti, in molti Paesi si sarebbe giustamente festeggiato. In Turchia no, perché il risultato di ieri è stato uno schiaffo al presidente della Repubblica Recep Tayyp Erdogan, umiliato due volte.
Formalmente, il capo dello Stato avrebbe dovuto restare ai margini della contesa. Non è stato così. Spaventato dai sondaggi e da opache prospettive future, Erdogan, Corano in mano, ha cercato di convincere il popolo turco d’essere l’unico capace di guidarlo.
Il popolo gli ha risposto no. Il partito islamico moderato Akp, che il leader aveva creato, e che da 13 anni guidava solitario il Paese con consensi crescenti, non soltanto ha mancato il record di 330 seggi su 550, necessario per modificare la Costituzione, trasformando la Turchia in repubblica presidenziale, ma in Parlamento ha perso persino la maggioranza assoluta, alla quale l’Akp era ormai abbonato, governando in beata solitudine.
È cambiato tutto, o quasi, e non per caso. L’arroganza del presidente ha prodotto l’anticorpo. È un giovane politico curdo, che ha deciso di far diventare il partito Hdp (Pace e democrazia) una forza politica nazionale, pensionando dubbi e pregiudizi. Selahattin Demirtas, 42 anni, con il suo stile sobrio e la sua oratoria convincente, ha saputo seppellire un tabù. Quello di aprire l’Assemblea nazionale a un partito di un’importante minoranza che, nel passato, è stata sospettata di tutto. Ha saputo superare l’altissima soglia del 10 per cento conquistando tutti, con una retorica opposta a quella di Erdogan. Se il presidente mordeva, Demirtas accarezzava, con linguaggio ghandiano, i giovani che protestavano per il Gezi park, e chiedevano diritti. Ha scelto di rappresentare tutti gli oppressi, dagli alevi agli armeni, dai siriaci agli yazidi, ai cristiani, naturalmente ai curdi, e agli omosessuali. Ha chiesto una «Nuova Turchia» ed è entrato in Parlamento. È chiaro che ora si aprono scenari imprevedibili. Si dovrà cercare di formare, in 45 giorni, un governo di coalizione. Se non sarà possibile — è quanto forse spera il presidente-sultano — , non sono escluse elezioni anticipate. Erdogan è pronto a tutto pur di non veder sgretolare il suo progetto, il suo potere.
Antonio Ferrari
Il popolo gli ha risposto no. Il partito islamico moderato Akp, che il leader aveva creato, e che da 13 anni guidava solitario il Paese con consensi crescenti, non soltanto ha mancato il record di 330 seggi su 550, necessario per modificare la Costituzione, trasformando la Turchia in repubblica presidenziale, ma in Parlamento ha perso persino la maggioranza assoluta, alla quale l’Akp era ormai abbonato, governando in beata solitudine.
È cambiato tutto, o quasi, e non per caso. L’arroganza del presidente ha prodotto l’anticorpo. È un giovane politico curdo, che ha deciso di far diventare il partito Hdp (Pace e democrazia) una forza politica nazionale, pensionando dubbi e pregiudizi. Selahattin Demirtas, 42 anni, con il suo stile sobrio e la sua oratoria convincente, ha saputo seppellire un tabù. Quello di aprire l’Assemblea nazionale a un partito di un’importante minoranza che, nel passato, è stata sospettata di tutto. Ha saputo superare l’altissima soglia del 10 per cento conquistando tutti, con una retorica opposta a quella di Erdogan. Se il presidente mordeva, Demirtas accarezzava, con linguaggio ghandiano, i giovani che protestavano per il Gezi park, e chiedevano diritti. Ha scelto di rappresentare tutti gli oppressi, dagli alevi agli armeni, dai siriaci agli yazidi, ai cristiani, naturalmente ai curdi, e agli omosessuali. Ha chiesto una «Nuova Turchia» ed è entrato in Parlamento. È chiaro che ora si aprono scenari imprevedibili. Si dovrà cercare di formare, in 45 giorni, un governo di coalizione. Se non sarà possibile — è quanto forse spera il presidente-sultano — , non sono escluse elezioni anticipate. Erdogan è pronto a tutto pur di non veder sgretolare il suo progetto, il suo potere.
Antonio Ferrari
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