by redazione | 12 Giugno 2015 9:33
Il presidente dell’Istat Giorgio Alleva ha presentato ieri in un’audizione alla commissione lavoro al Senato le stime di una microsimulazione sulle famiglie che permettono di valutare l’impatto economico delle proposte di legge sul reddito minimo presentate dal Movimento Cinque Stelle e Sinistra Ecologia e Libertà.
Le simulazioni hanno confermato i costi dei provvedimenti, rispettivamente 14,9 e 23,5 miliardi di euro annui, e la necessità di una riforma radicale dello stato sociale italiano. M5S ha salutato con un certo entusiasmo questo intervento: «Volevano screditarci dicendo che la nostra misura aveva un costo di oltre 30 miliardi. Oggi è stato direttamente l’Istat a darci ragione», ha detto Nunzia Catalfo prima firmataria della proposta M5S. «Altro che incostituzionale come sostiene Renzi. Il reddito di cittadinanza va fatto e con la massima urgenza», ha ribadito Roberto Fico. E Beppe Grillo: «Il Reddito di Cittadinanza è la priorità dell’Italia, Grasso calendarizzi la proposta». «Il reddito minimo bisogna finanziarlo con la fiscalità generale e non è alternativo all’occupazione», ha detto il segretario della Fiom Maurizio Landini, «soprattutto perché siamo di fronte ad una diseguaglianza incredibile».
L’analisi dell’Istat va letta anche per chiarire la differenza tra reddito minimo e reddito di cittadinanza. Il primo è un intervento che garantisce «un livello minimo di risorse» ai cittadini e nel caso della proposta M5s alle famiglie. Il secondo è un’erogazione universale (e dunque ai singoli individui) a tutti. In generale, bisogna rimediare alle iniquità del Welfare italiano «attualmente sbilanciato verso prestazioni assicurative come la Cassa integrazione guadagni e le pensioni», sostiene l’Istat. Il reddito minimo è mirato «a fornire una rete di protezione per gli individui nelle diverse fasi della loro vita». Tutto ciò che manca in Italia, il paese più arretrato d’Europa, insieme alla Grecia, per quanto riguarda la tutela universale della vita attiva.
Alleva ha precisato che «una misura di reddito minimo dovrebbe essere associata a politiche di accompagnamento e inserimento nel mercato del lavoro, al fine di bilanciare gli effetti di disincentivo alla partecipazione all’offerta di lavoro». In questo modo si eviterebbe la «trappola della povertà», generata dalla scelta dell’individuo di percepire un «sussidio sicuro», anziché usare queste risorse per cercare lavoro.
È l’ottica prestazionale del reddito minimo, oggetto delle politiche workfariste che in Europa hanno modificato l’aspirazione universalistica del reddito di base in una politica del controllo e del disciplinamento delle persone. Ciò non toglie che esista uno spazio per modificare queste politiche in direzione di un welfare rispettoso della loro autonomia.
Ciò che il Movimento 5 Stelle definisce, impropriamente, «reddito di cittadinanza» nel disegno di legge n° 1148. Si tratta, con le parole del presidente dell’Istat, di un «reddito minimo universale», cioè «una misura selettiva, limitata all’erogazione dei benefici alle famiglie il cui reddito è inferiore a una determinata soglia (di povertà)». Parole che dovrebbero essere, una volta tanto, tenute in considerazione anche dai diretti interessati che parlano di «reddito di cittadinanza» (cioè un’erogazione universale del reddito e dunque all’individuo e non alla famiglia) e creano confusioni colossali nel dibattito pubblico.
Per l’Istat la proposta dei Cinque Stelle è ricavata dalla simulazione di un’imposta negativa sul reddito presentata dall’Istat nel rapporto annuale 2014. Si parla di una soglia minima pari a 9.360 euro annui e il 90 per cento del reddito familiare. Il beneficio mensile massimo è di 780 euro per singolo e cresce con il numero dei componenti del nucleo familiare. Il beneficio diminuisce gradualmente al crescere del reddito per impedire che l’incremento del reddito corrisponda a una riduzione del sussidio.
L’anno scorso l’Istat aveva calcolato l’importo complessivo annuale del reddito minimo in 15,5 miliardi di euro. Oggi è stimato in circa 14,9 miliardi, considerando il bonus degli 80 euro mensili riservato ai soli lavoratori dipendenti che riduce la quota da erogare. Il sussidio andrebbe a una platea di 2 milioni e 640 mila persone con reddito inferiore all’80 per cento della linea di povertà relativa ed è quantificato in 12 mila euro annui.
La proposta di legge n°1670, depositata da Sinistra Ecologia e Libertà, frutto della proposta di legge di iniziativa popolare promossa — tra gli altri — dal Bin Italia, allarga significativamente la platea dei destinatari e per questa ragione costa molto di più: 23,5 miliardi di euro all’anno. Il sussidio è calcolato in somma fissa a 7200 euro annui per i singoli. Questo è un elemento di avanzamento notevole perché garantisce l’autonomia degli individui e sale per le famiglie con più componenti. Per queste la soglia è quella fissata anche dai Cinque stelle: 9360 euro. La misura raggiungerebbe le famiglie sotto il 60% della linea di povertà e soprattutto i “monogenitori” con figli minori, giovani e single, e coppie con figli minori, quella vasta popolazione attiva di precari, poveri e quinto stato esclusa dal welfare. Per loro il reddito è «più che raddoppiato». Con l’introduzione di questo reddito l’incidenza della «povertà grave verrebbe quasi annullata» e dimezzato il divario tra il reddito delle famiglie povere e la linea di povertà.
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