Rifu­giati, uno su tre ha subìto violenze

by redazione | 26 Giugno 2015 10:37

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Il 26 giu­gno viene cele­brata in tutto il mondo la Gior­nata Inter­na­zio­nale a soste­gno delle vit­time di tor­tura. Il sistema giu­ri­dico inter­na­zio­nale proi­bi­sce l’utilizzo della tor­tura in qual­siasi cir­co­stanza. Ma, secondo Amne­sty Inter­na­tio­nal, la tor­tura è ancora pra­ti­cata in 131 Stati. Que­sto vuol dire che l’82% della popo­la­zione mon­diale vive sotto governi che uti­liz­zano la tor­tura in modo più o meno siste­ma­tico per incu­tere ter­rore, per distrug­gere l’identità di chi dis­sente. Per­ché la tor­tura serve esat­ta­mente a que­sto: non a otte­nere infor­ma­zioni deci­sive o costrin­gere a par­lare le sue vit­time, ma piut­to­sto a ridurle al silen­zio, disin­te­gran­done l’identità poli­tica, sociale e cul­tu­rale. Attra­verso la distru­zione dell’identità della per­sona, la tor­tura mira all’azzeramento del suo por­tato all’interno della società: la per­sona tor­tu­rata si tra­sforma uni­ca­mente in monito vivente per gli oppo­si­tori e i non alli­neati. E al Con­si­glio Ita­liano per i Rifu­giati (Cir) vediamo con­ti­nua­mente gli esiti di que­sta bru­tale pra­tica, per­ché un rifu­giato su 3, di quanti arri­vano nel nostro Paese, ha vis­suto in prima per­sona que­sta espe­rienza disu­mana. Migliaia delle per­sone che arri­vano sulle nostre coste, sono state tor­tu­rate in Libia, Eri­trea, Congo, Nige­ria, Gam­bia, Siria, Iraq, Afghanistan.

Le con­se­guenze della tor­tura coin­vol­gono ogni aspetto della vita del soprav­vis­suto e niente è più come prima. Le espe­rienze trau­ma­ti­che estreme infatti pro­vo­cano nella psi­che di chi le subi­sce delle riper­cus­sioni pro­fonde e arri­vano a coin­vol­gere le fun­zioni di base e spesso fanno pre­ci­pi­tare la psi­che in stati di vera e pro­pria fram­men­ta­zione. Molte ancora le ferite che riman­gono sui corpi. La fuga e l’esilio fanno il resto. Quello che al Cir fac­ciamo nei nostri inter­venti di ria­bi­li­ta­zione e cura è soprat­tutto un lavoro di resti­tu­zione, ricu­cendo le ferite visi­bili e invi­si­bili per ridare senso a quel patto etico e sociale che è stato infranto.

Per que­sta ragione uti­liz­ziamo una pro­spet­tiva di lavoro mul­ti­di­sci­pli­nare e inte­grata, in cui gli inter­venti di tipo sociale, psi­co­lo­gico, medico, legale e i labo­ra­tori di ria­bi­li­ta­zione, si uni­scono tra loro raf­for­zan­dosi reci­pro­ca­mente e con­cor­rendo alla rea­liz­za­zione di un posi­tivo per­corso di ria­bi­li­ta­zione e inte­gra­zione. In 20 anni abbiamo assi­stito più di 4.000 per­sone soprav­vis­sute a tor­tura. In que­sto spa­zio si col­loca anche il labo­ra­to­rio di ria­bi­li­ta­zione psico-sociale che abbiamo quest’anno rea­liz­zato insieme ai for­ma­tori Steve Eme­juru e Susan Long. Attra­verso la danza e la musica abbiamo accom­pa­gnato 20 rifu­giati in un per­corso di recu­pero ed ela­bo­ra­zione del trauma. Sta­sera, 26 giu­gno, alle ore 20.30 all’Isola del Cinema di Roma, Isola Tibe­rina pre­sen­te­remo «Nono­stan­te­tutto», inter­pre­tata dai rifu­giati coin­volti nel per­corso ria­bi­li­ta­tivo che por­te­ranno in scena, oltre a danze e canti, 2 improv­vi­sa­zioni sul tema della nascita e della vio­lenza. Pro­iet­te­remo anche due corti con le sto­rie di Simon, dalla Repub­blica Demo­cra­tica del Congo, e di The­rese, dalla Costa d’Avorio. Seguirà la pro­ie­zione del film «Wel­come» di Phi­lippe Lio­ret.
*Con­si­glio ita­liano per i rifugiati

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