Il 24esimo stato più popoloso del mondo non esiste: è il paese fantasma del popolo dei rifugiati, la patria senza confini degli sfollati e dei richiedenti asilo, degli apolidi per causa di forza maggiore e dei sopravvissuti in fuga. Sono 60 milioni di persone, 8,3 milioni più di un anno fa, 23 milioni più di dieci anni fa. Dalla Seconda guerra mondiale non sono mai stati così tanti, e non sono mai state così poche le persone che riescono finalmente a tornare in ciò che rimane della loro casa. È la sconcertante realtà raccontata dai numeri, dalle voci e dalle storie del rapporto annuale che l’Alto comissariato Onu per i Rifugiati presenterà oggi.
Il mondo è malato come non è accaduto mai: ogni giorno, nel 2014, un’esercito di 42.500 civili è stato divorato dalla terra di nessuno di chi ha perso tutto e può solo fuggire, lasciadosi alle spalle «persecuzioni e conflitti, violenza e violazioni dei diritti umani ». Un numero abominevole che è un atto di accusa al mondo intero, perché questa cifra sconvolgente negli ultimi quattro anni è esattamente quadruplicata. Ogni 122 abitanti della Terra, uno è diventato un profugo, e in maggioranza (51%) si tratta di bambini. Ma il dito puntato dalla storia è verso gli altri 121, quelli che non lo hanno saputo o potuto impedire: «È terrificante – dice l’Alto commissario per i Rifugiati, António Guterres – che da un lato coloro che fanno scoppiare i conflitti risultano sempre i più impuniti, e dall’altro sembra esserci una totale incapacità da parte della comunità internazionale a lavorare insieme per costruire e mantenere la pace». Ecco, appunto: dev’essere per questo che nel 2014 i rifugiati riusciti a tornare a casa sono stati 126.800, il numero più scarno degli ultimi trent’anni. Intanto, «negli ultimi cinque anni sono scoppiati o si sono riattivati almeno 15 conflitti: otto in Africa (Costa d’Avorio, Repubblica Centrafricana, Libia, Mali, Nigeria, Repubblica democratica del Congo, Sud Sudan e quest’anno Burundi); tre in Medio Oriente (Siria, Iraq e Yemen), uno in Europa (Ucraina) e tre in Asia (Kirghizistan, Myanmar e Pakistan)». Ogni nuova crisi dissemina morti e distruzioni, ma diventa anche una sorgente di esodi forzati che si diffondono nel resto del pianeta. Siriani e iracheni in fuga trovano una strada impervia di ostilità già affollata da milioni di somali e afgani. L’onda tracima nei conflitti mai risolti, affollando periferie e margini di un mondo che non vuole migranti ma non sa aiutarli e non può respingerli.
In tutto il mondo, i rifugiati sono 19,5 milioni, gli sfollati interni 38,2 milioni e i richiedenti asilo 1,8 milioni. Ma attenzione: se l’Europa fatica ad affrontare un problema che ha largamente contribuito a creare, come possono riuscirci i Paesi in via di sviluppo che ospitano l’86% dei rifugiati? Se al nostro mondo occidentale resta il 14% del problema, il 25% dei rifugiati si trova addirittura nell’elenco dei paesi meno sviluppati del pianeta. Nella classifica dei paesi ospitanti, al primo posto è sa- lita la Turchia (1,59 milioni di persone) seguita dal Pakistan (1,51 milioni) e dal Libano (1,15), dall’Iran, dall’Etiopia e dalla Giordania. E se guardiamo al rapporto tra rifugiati e cittadini, il primato della mano tesa va al Libano: 232 rifugiati ogni mille abitanti, quasi uno su quattro. In Europa, però, «i migranti forzati hanno raggiunto quota 6,7 milioni contro i 4,4 del 2013»: il 51% in più. Su 1,7 milioni di richiedenti asilo nel mondo nel 2014, 173mila lo hanno fatto in Germania.