Piaghe, freddo e il mare per lavarsi così resiste il popolo degli scogli

by redazione | 16 Giugno 2015 9:27

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VENTIMIGLIA. Tra le pietre sotto il sedere e un orizzonte di fragile libertà c’è un gendarme ragazzino, i capelli a spazzola, lo sguardo fiero e le dita nel giubbotto antiproiettile come se fosse un gilet. È lui la risposta muscolare della Francia all’Italia o forse dell’Europa intera a questi poveri cristi che si lavano le ascelle con l’acqua di mare, e poi ci fanno la pipì dentro. Una candida vela taglia l’orizzonte prima che scenda la notte, la terza addormentati sui sassi anche se non è mica vero, neppure una bestia può dormire così.
Il popolo degli scogli beve l’acqua portata dalla Croce Rossa, mangia mele e banane regalate da due ragazze francesi che ne avevano il bagagliaio pieno e guarda il rettilineo dove l’Italia finisce e niente comincia: la porta chiusa sulla Francia e sul futuro. Un drappo sbrindellato dell’Unione e un tricolore italico stinto sono i vessilli a presidio del fortino. 150, ne sono rimasti. Nelle ore del sole giaguaro si sono messi gli scatoloni in testa per ripararsi, e qualcuno ha cercato un filo d’ombra sotto le palme spelacchiate, sonnecchiando al rumore delle onde e annusando gli scappamenti di quelli che possono andare e venire da qui a lì, i liberi, i normali. Ma quando il buio infine è arrivato, quasi tutti sono tornati a stendersi sopra le pietre aguzze che segnano e rigano carni e pensieri, e che sono ormai l’acuminato simbolo della resistenza, dolore fisico, tormento che rende più vivo l’orgoglio. «Vogliamo una risposta politica, e finché non l’avremo non ci sposteremo di un centimetro». Hussìn Hissa Jamai, somalo di Mogadiscio, 22 anni. «Ho attraversato a piedi Sudan, Etiopia e Libia, poi ho pagato 2mila dollari per il barcone e non torno certo indietro anche se mi fa male la testa. Ho preso troppo sole, fratello». Si leva le scarpe, mostra le piaghe. «Voglio raggiungere Chambery, la prima notte ho dormito sull’aiuola ma i poliziotti ci hanno mandato via. Rrimango sui sassi e in stazione non entro».
In stazione ci sono anche le docce, l’ambulatorio della Croce Rossa e le donne con i bambini. Però è qui che si combatte, mostrando le ferite dappertutto — mani, gambe, schiene — ma non dentro gli occhi, dove i ragazzi custodiscono la fierezza dei combattenti e degli sconfitti. Il luogo ha un nome gentile, da vacanza in spiaggia. Si chiama Ponte San Ludovico ed è l’ultimo lembo di Ventimiglia, dunque di Italia. La lucepicchia sull’argento delle onde e obbliga a chiudere gli occhi. Il popolo degli scogli ha sonno, fame, sete. Vuole lavarsi, deve andare in bagno ma il bagno non c’è, solo qualche cesso chimico sul piazzale dove c’è pure un baretto con veranda, e i pensionati francesi sorseggiano il loro
pernod . L’insegna del ristorante Balzi Rossi ammicca promesse di grigliate e calamari, mentre i ragazzi dei sassi sbucciano arance e guardano il mare: quasi tutti voltati verso l’orizzonte, i più stanchi riposano sul muretto, qualcuno si fa la barba seduto per terra, guardandosi e forse non riconoscendosi in una scheggia di specchio. Desolazione e luce, sporcizia e cascate di bouganville. Qui davanti, i poliziotti hanno messo transenne e delimitato l’area con il nastro , i migranti stanno dietro come in un recinto e si lasciano guardare, fotografare, poi si avvicinano per dire le loro storie.
Se questo è un uomo si chiama Ahmed, ha 22 anni e una magrezza da brividi. Arriva dal Sudan. «Ho lasciato mio padre e mia madre, tutta la vita di prima e sono qui perché voglio diventare medico e aiutare gli altri. Sapevo che l’Europa è terra aperta, senza più frontiere, allora perché questo?», e indica col dito le camionette della Gendamerie, il blocco che non avrebbe alcuna ragione di esistere per la legge internazionale e invece c’è, ed è per questa gente il nuovo muro di Berlino, la muraglia cinese, il filo spinato di Auschwitz, insomma il segno che di lì non si passa.
Il popolo degli scogli si prepara a un’altra notte dentro il vento che si alza forte, e alla pioggia che sta arrivando. Ecco di nuovo le coperte termiche che hanno fatto il giro del mondo dentro foto surreali e tremende, uomini come pezzi di carne nella carta d’alluminio, però meno male che c’è questo materiale prezioso per difendersi da freddo e spruzzi che sono come aghi dentro la pelle.
Invece le donne e i bambini sono alla stazione ferroviaria. Il magazzino della Cri è pieno di roba da mangiare. «Questo ci conforta: la gente non ne fa una questione politica ma solo umana, niente destra o sinistra, qui si aiuta e basta». Fiammetta Cogliolo è la portavoce della Croce Rossa e lavora con i suoi colleghi di Mentone, una macchina oliata. «È bellissimo vedere le mamme italiane che portano giocattoli e insieme i loro figli, perché tengano compagnia ai piccoli migranti. Ora ce ne sono 9, il più piccino ha 6 mesi. Una turista americana voleva lasciarci soldi ma non possiamo accettarli, noi possiamo solo ricevere beni materiali». Biscotti e banane, caffè caldo e carta igienica, ai vestiti pensa la Caritas. All’ora della merenda arrivano da Ventimiglia fette di solidarietà lunghe 15 centimetri e larghe 10, si tratta della tiepida focaccia ligure che queste persone non hanno mai visto. La annusano circospetti, poi l’assaggiano a piccoli morsi, è salata e morbida, non ne resterà neppure una briciola.
Tocca a Yousra Jamil, ragazza marocchina di 19 anni («Da 10 vivo in Italia e vorrei lavorare, a scuola non vado più»), spiegare in arabo agli uomini delle pietre che non è disdicevole cercare soccorso in stazione, e farsi dare un’occhiata dal medico. «Anche se hanno paura che così non potranno più andare in Francia: gli ho spiegato che non è vero, e di avere pazienza». Ieri Yousra ne ha convinti 54. Ma quando infine hanno lasciato il giaciglio di pietre, gli altri li hanno guardati con disprezzo.
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