Nuovo stop dei generali a Suu Kyi: non sarà presidente
by redazione | 26 Giugno 2015 10:22
Forse la Signora se lo aspettava. «Non sono sorpresa dall’esito del voto — ha detto Aung San Suu Kyi —. Ora è evidente che la costituzione non potrà essere cambiata se i militari non lo vogliono».
A cinque mesi dalla prossime elezioni parlamentari in Birmania — che saranno subito dopo seguite dalle presidenziali — il premio Nobel per la Pace e leader dell’opposizione si è trovata infine di fronte a uno scoglio «democratico» che le continua a impedire di raggiungere la carica più alta nel suo Paese. La Camera dei deputati, infatti, ha respinto il progetto di emendamento che si proponeva di annullare l’articolo che vieta «a chiunque sia sposato con un cittadino straniero o abbia figli con passaporto estero» di correre per la carica di presidente della Repubblica del Myanmar, come i generali hanno ribattezzato la Birmania.
Il testo, previsto al momento della transizione verso la democrazia iniziata nel 2010, aveva come scopo di tenere in un angolo Aung San Suu Kyi — vedova di un cittadino britannico e madre di due figli con il passaporto di Sua Maestà. Ma il capo dell’opposizione, che pure è stata molto criticata negli ultimi anni per la sua «timidezza» nel difendere i diritti di minoranze come i Rohingya (musulmani in un Paese a maggioranza buddhista), non sembra aver perso tutte le speranze. «I cittadini hanno ora la possibilità di giudicare chi è che impedisce il cambiamento», ha detto ancora la Signora, intendendo: al momento del prossimo voto le urne ci daranno giustizia.
In effetti, le elezioni parlamentari sembrano destinate ad aumentare grandemente la rappresentanza della Lega nazionale per la democrazia, per quanto la Costituzione assegni ai militari (per legge) il 25 per cento dei seggi. E per cambiare il testo fondamentale serve una maggioranza del 75 per cento dei deputati, prima di un obbligatorio passaggio referendario: anche la proposta di abbassare questa soglia al 70 per cento è stata respinta dal Parlamento.
Quel che appare certo, al momento, è che i militari hanno fatto bene i loro conti, prima di approvare il «ritorno alla democrazia», gestito per altro da ex generali come l’attuale presidente Thein Sein. E Aung San Suu Kyi, che ha appena compiuto 70 anni, potrebbe scoprire che la strada per la riconquista del governo, scippatole dal golpe del 1990, potrebbe essere ancora troppo lunga.
Paolo Salom