by redazione | 30 Giugno 2015 12:27
«Ripugnante violenza»: così il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg definisce l’attacco terroristico in Tunisia. Cancella con un colpo di spugna il fatto che la reazione a catena, di cui la strage in Tunisia è uno degli effetti, è stata messa in moto dalla strategia Usa-Nato. Un documento desecretato del Pentagono, datato 2012, conferma che l’Isis, i cui primi nuclei vengono usati dalla Nato per demolire con la guerra lo Stato libico, si forma in Siria reclutando soprattutto militanti salafiti sunniti. Finanziati da Arabia Saudita e altre monarchie, essi vengono riforniti di armi attraverso una rete della Cia. Obiettivo: «stabilire un principato salafita nella Siria orientale», in funzione anti-sciita, e da qui scatenare l’offensiva in Iraq quando il governo dello sciita al-Maliki si allontana da Washington, avvicinandosi a Pechino e Mosca.
Ulteriore conferma viene da documenti sauditi, appena rivelati da Wikileaks: essi dimostrano che, almeno dal 2012, l’Arabia Saudita alimenta la guerra segreta in Siria, di concerto con la Turchia.
Quindi con la Nato, che loda la propria partnership con l’Arabia Saudita e le altre monarchie del Golfo perché «forniscono in modo sempre più efficiente sicurezza, anche al di là della loro regione».
Ben dimostrato dalla guerra contro lo Yemen dove l’Arabia Saudita, sostenuta militarmente dagli Usa, commette ogni giorno stragi di civili ben peggiori di quella in Tunisia rivendicata dall’Isis, documentate da una mostra fotografica apertasi nella capitale yemenita. Ignorate però dai grandi media che, focalizzando l’attenzione sugli innocenti turisti uccisi su una spiaggia tunisina, sfruttano questo crimine per dimostrare che l’Occidente è sotto attacco e deve quindi difendersi.
Con perfetto quanto sospetto tempismo, i ministri della difesa della Nato — riunitisi a Bruxelles nei due giorni prima della strage in Tunisia — decidono di potenziare la «Forza di risposta» dell’Alleanza, portandola a 40mila uomini (dai 13mila previsti inizialmente), e di intensificare la sua preparazione perché sia pronta ad essere proiettata nelle aree di crisi.
A tal fine i ministri della difesa decidono di «accelerare le procedure decisionali politiche e militari, compresa l’autorità del Comandante supremo alleato in Europa di preparare le truppe per l’azione».
L’accelerazione delle procedure decisionali conferisce al Comandante supremo alleato in Europa – sempre un generale Usa, nominato dal Presidente – il potere di decidere e attuare un intervento militare in tempi tali da esautorare di fatto i parlamenti europei (quello italiano ringrazi a tale proposito la ministra della difesa Roberta Pinotti che ha partecipato al summit di Bruxelles).
La Nato viene così rilanciata alla grande, con profonda soddisfazione di Washington. Esternata, il giorno stesso della strage in Tunisia, dal segretario Usa alla difesa Ash Carter: «Un anno fa la Nato si chiedeva che cosa avrebbe fatto dopo l’Afghanistan. Quest’anno abbiamo scoperto non solo una, ma due cose da affrontare: l’Isis e la Russia di Putin».
Lo stesso giorno della strage in Tunisia, il segretario generale della Nato Stoltenberg, partecipando al Consiglio d’Europa, sottolinea che «su dieci cittadini della Ue, nove vivono in paesi Nato» e che le due organizzazioni «condividono gli stessi valori e lo stesso ambiente di sicurezza». Annuncia quindi che la Nato ha fatto «passi decisivi per rafforzare la difesa collettiva». Nel cui nome l’Europa viene usata come terreno di grandi manovre militari, con la partecipazione solo in giugno di 11mila soldati di 22 paesi, e come ponte di lancio della «Forza di risposta». Sempre, naturalmente, sotto comando Usa.
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