Milano Pride, un «Sì» per tutti
Se negli Stati Uniti centinaia di migliaia di gay e lesbiche hanno salutato la storica sentenza che riconosce i matrimoni omosessuali in tutta la Federazione cantando We Shall Overcome sulla scalinata davanti alla Corte Suprema a Washington, in Italia la vigilia del gay Pride di Milano è stata l’ennesima occasione per la destra, con la Lega Nord in testa, per dare sfoggio del peggiore e ottuso oscurantismo.
Due consiglieri comunali del Carroccio, Luca Lepore e Massimiliano Bastoni, hanno definito la parade «un deprimente palcoscenico di qualche migliaio di frustrati, vittime di aberrazioni della natura».Un po’ di livore sono riusciti a vomitarlo anche sulla giunta di Giuliano Pisapia «affetta da disturbo dissociativo e che patrocina manifestazioni degradanti, ripugnanti e lesive della dignità dell’essere umano».
Nonostante il triste spettacolo della vigilia, per le strade di Milano si è riversata una marea colorata, festosa e cantante con tanta fame di diritti. Per tutti, non solo per gli omosessuali, anche per quelle centinaia di migranti che, da giorni, ancora dormono nel Piazzale davanti alla Stazione Centrale dove era stato fissato il concentramento. 100, 150 mila, secondo gli organizzatori, hanno sfilato fino a Porta Venezia. Tra i carri, i balli e i tanti cartelli, uno che condensa in poche parole un’unità d’intenti compatta e determinata per ottenere diritti che, ad oggi, in Italia ancora non esistono: «25 anni insieme, vogliamo sposarci».
Tra le istituzioni presenti, oltre al Sindaco Pisapia e buona parte della giunta comunale, anche il ministro delle politiche agricole Maurizio Martina: «E’ ora di una legge sulle unioni civili anche in Italia».
Le varie associazioni riunite nel comitato arcobaleno hanno manifestato nella giornata dell’orgoglio omosessuale dietro lo striscione di apertura: «I diritti nutrono il pianeta» che parafrasa la «missione» dell’Esposizione Universale. Come slogan, per quest’edizione, è stato scelto un urlo. «Non perché i diritti vadano imposti — aveva spiegato qualche giorno fa Flavio Pellegatta, Presidente di Arcigay, alla conferenza stampa di presentazione a Palazzo Marino — ma perché siamo stanchi di aspettare». «E’ un grido col sorriso quello che oggi tutti insieme lanciamo — ha detto dal palco Pisapia — ma è un grido che, senza risposte alla svelta, diventerà di sdegno e di rabbia».
A conclusione, prima degli interventi dal palco del primo cittadino e di Billi Costacurta, il testimonial della parade di quest’anno, un flash mob «per lanciare un’immagine simbolica». L’anno scorso le fotografie di Corso Buenos Aires inondata dal «Fiume d’amore» con 50 mila cuori sollevati in aria, avevano fatto il giro del mondo. Quest’anno è stata scelta l’affermazione «Sì». Sì, lo voglio pronunciato in un grande matrimonio collettivo. Migliaia di braccia alzate con un cartello che chiede uguaglianza per tutti, un’evoluzione e il riconoscimento dei diritti umani collettivi. «Sì, è la risposta dell’amore, l’amore dice sempre: Sì», ha spiegato l’artista Angelo Cruciani, già ideatore del Flash Mob della passata edizione.
E’ stata una manifestazione politica, anche perché è alle istituzioni che la comunità lgbtq si è rivolta per ottenere finalmente in Italia quello che in molti Paesi, anche nella cattolicissima Irlanda, è ormai normalità. La sentenza della Corte Suprema americana, con un linguaggio insolitamente emotivo, dice «che il matrimonio è una questione di libertà, di manifestazione della propria dignità di esseri umani. Attraverso il matrimonio gay e lesbiche possono superare la solitudine e l’esclusione che li ha caratterizzati per decenni».
E tra queste parole e noi c’è davvero di mezzo il mare.
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