Lo stress dei nuovi guerrieri

by redazione | 18 Giugno 2015 13:04

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NEW YORK. UN’ESCALATION di successi: i droni americani non hanno mai ucciso così tanti nemici in così poco tempo. Eppure la guerra “pulita e chirurgica” che Barack Obama predilige, sta logorando i suoi protagonisti umani: i piloti che a distanza guidano i killer volanti. A lanciare l’allarme è un alto ufficiale della US Air Force sul New York Times . E uno studio del Pentagono rivela che quei piloti a distanza, pur operando nell’ambiente asettico e sicuro delle basi militari nel Nevada, soffrono di patologie identiche ai loro colleghi che vedono la guerra da vicino: depressioni e stress post-traumatici.
Gli ultimi due colpi micidiali dei droni sono stati messi a segno in pochi giorni. Durante il weekend in Libia un drone americano ha eliminato Mokhtar Belmokhtar: un capo di Al Qaeda che nel 2013 in Algeria organizzò la presa di 800 ostaggi in un impianto di gas, uccidendone 38 ( di cui tre cittadini americani). Nelle stesse ore, un altro drone della Cia ha eliminato nello Yemen il presunto numero due mondiale di Al Qaeda: Nasser al-Wuhayshi, considerato tra l’altro come una delle menti dietro l’attacco di gennaio alla redazione parigina di Charlie Hebdo. La Cia è convinta che al-Wuhayshi sia il più alto dirigente di al Qaeda mai eliminato, dopo l’uccisione di Osama Bin Laden nel 2011 in Pakistan. L’elenco è ben più lungo: solo per il ramo di Al Qaeda nella penisola arabica, i capi uccisi da gennaio sono almeno quattro. Sempre con la stessa arma letale, cioè gli aerei-automa, senza piloti. Una risorsa tanto più cruciale, in quanto l’avanzata dei jihadisti sul terreno ha spesso privato gli americani di basi militari, forze terrestri, alleati sul terreno. È il caso dello Yemen, dove l’avanzata dei ribelli Houti ha ridotto gli spazi di manovra per le operazioni anti-terrorismo più tradizionali, quelle condotte con reparti speciali e l’appoggio dell’esercito governativo. «Anche se non abbiamo più una presenza nello Yemen — ha dichiarato il colonnello Steve Warren portavoce del Pentagono — conserviamo una capacità globale di raggiungere e colpire i nostri avversari. Possiamo trovare e uccidere terroristi ovunque si trovino nel mondo ». Ma basterà questa superiorità tecnologica?
Un paradosso nell’escalation delle uccisioni dai cieli è questo: le ultime vittime sono tutti leader di Al Qaeda, mentre il nemico più pericoloso è diventato lo Stato Islamico o Is. Nella misura in cui Al Qaeda è un rivale di Is, gli ultimi raid potrebbero addirittura sortire un effetto indesiderato, quello di rafforzare i jihadisti del Califfato accelerando il declino dei loro concorrenti. È l’accusa lanciata sul Washington Post da un ex consigliere di George W. Bush per l’antiterrorismo, Juan Zarate: «Gli ultimi raid dei droni hanno scarsa rilevanza rispetto all’avanzata dell’Is nel cuore del Medio Oriente. Possono perfino rafforzarli in Yemen, Arabia saudita e Libia ».
Un’altra incognita grava su tutto il programma dei droni. Questa la rivela il colonnello James Cluff confidando al New York Times che è in corso una vera e propria fuga dei piloti: stressati, sfiniti dal troppo lavoro, o attratti dal settore privato che offre stipendi più generosi.
I droni sono solitamente definiti aerei-robot, o senza pilota, ma questa descrizione è imprecisa. In realtà sono apparecchi telecomandati. I piloti ci sono ma si trovano a grandi distanze dai teatri delle operazioni militari. Il colonnello Cluff, comandante del 432esimo stormo della Us Air Force, dirige proprio una delle basi dove i piloti tele-guidano i droni: la Creech Air Force Base nel deserto del Nevada, a una settantina di chilometri da Las Vegas. Questi piloti della Us Air Force che telecomandano i droni sono essenziali anche per il programma della Cia: l’agenzia d’intelligence ha i suoi strumenti per selezionare i bersagli da colpire, ma il know how del pilotaggio a distanza se lo fa prestare dall’aviazione militare.
L’allarme lanciato da Cluff sul New York Times è questo: si stanno assottigliando i ranghi dei piloti capaci di manovrare droni a migliaia di km di distanza, tanto che i raid dovranno essere ben presto diradati. Da una media di 65 attacchi quotidiani, già questo autunno la US Air Force dovrà scendere a 60, poi forse ancora meno. Un problema serio per Barack Obama, il presidente che dei droni ha fatto il perno della sua strategia. Obama rivendica il merito di avere mantenuto una promessa cruciale fatta agli ameri- cani: quella di ritirare la quasi totalità delle truppe americane dalle due guerre del suo predecessore, Afghanistan e Iraq. Di fronte ai rovesci subiti dagli alleati dell’America, e all’improvviso dilagare dello Stato Islamico in Siria, Libia, Iraq, fin qui Obama ha tenuto fede alla promessa: «Niente più scarponi americani sul terreno». In Iraq manderà qualche centinaio di addestratori militari in più, oltre a quelli che già ci sono, ma senza affidargli missioni di combattimento. Questa strategia poggia in maniera prevalente sulla superiorità tecnologica dell’America, e la sua capacità di colpire dai cieli. Possibilmente coi droni, più maneggevoli e meno costosi degli aerei. Solo in Iraq, da quando nell’agosto 2014 è cominciata l’avanzata dell’Is, i droni delle categorie Predator e Reaper hanno effettuato 3.300 missioni.
Un ritmo che sarà impossibile sostenere, stando alle cifre fornite dal colonnello Cluff. Che al New York Times ha descritto un organico «insufficiente e oberato dai carichi di lavoro ». Sui 1.200 piloti ai suoi ordini, una quota significativa ha annunciato di volersene andare. La formazione dei sostituti procede a rilento, anche perché i piloti-istruttori vengono richiamati in servizio attivo, a tappare i buchi di organico. Una delle cause della fuga sta nel successo dei droni in campi non militari. Tante industrie civili si sono accorte che questi apparecchi hanno usi preziosi: in agricoltura servono a ispezionare i raccolti, nel settore immobiliare a fare riprese dall’alto delle case in vendita, perfino Hollywood ormai li usa per sostituire i costosi elicotteri in molte riprese cinematografiche. Le imprese private pagano fino al quadruplo delle forze armate, donde un drenaggio dei piloti quando hanno esaurito i loro obblighi contrattuali con la Us Air Force. Poi c’è lo stress, che il colonnello Cluff descrive come una causa determinante per la fuga dei piloti, respingendo la caricatura che li descrive come dei ragazzini che giocano ai videogame: «Sanno di prendere decisioni di vita o di morte». Uno studio interno al Pentagono rivela che questi piloti a distanza soffrono di depressione, crisi di angoscia e stress post-traumatico in percentuali identiche ai piloti dei cacciabombardieri che effettuano missioni di guerra. La percentuale significativa di vittime civili e innocenti viene elencata tra le ragioni dello stress.
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