L’ipotesi Usa: missili in Europa per contrastare la minaccia russa

by redazione | 7 Giugno 2015 8:40

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GARMISH-Partenkirchen (Germania) Un nuovo «round» di sanzioni economiche contro la Russia della probabile durata di sei mesi, visto che gli accordi di Minsk, rispettati solo in parte, hanno rallentato la guerra in Ucraina ma non l’hanno davvero «congelata» come promesso da Mosca. E poi la fabbrile ricerca di nuovi strumenti per arginare e contrastare l’aggressività militare del Cremlino. Con qualcuno, al Pentagono e tra gli alleati degli Usa nell’Est europeo, che vorrebbe addirittura reagire alle violazioni russe del trattato Inf firmato nel 1987 da Reagan e Gorbaciov schierando di nuovo i missili da crociera a medio raggio americani in Europa.
Rispondere a una violazione dei trattati anti-proliferazione con un’altra violazione: sarebbe davvero un ritorno in grande stile alla Guerra fredda. Non succederà: Barack Obama non considera la minaccia militare russa talmente pericolosa da giustificare il ricorso a interventi così estremi. Ma è un fatto che alla vigilia del G7 che inizia oggi in Germania, nel castello di Elmau sulle Alpi bavaresi, i ministri della Difesa occidentali sono tornati a discutere di risposte militari nei confronti di Mosca che, oltre ad aver aggredito l’Ucraina, va avanti col programma Iskander: un nuovo missile da crociera sperimentato l’anno scorso nell’enclave russa di Kaliningrad, un territorio sul mar Baltico, tra Polonia e Lituania.
Un’arma, questo Iskander, che rappresenta una violazione del trattato Inf (Intermediate-range Nuclear Forces) col quale 28 anni fa russi e americani chiusero la fase pericolosa che si era aperta con la crisi degli «euromissili» del 1979 quando, in risposta al dispiegamento degli SS-20 sovietici, i Paesi europei della Nato accettarono di ospitare le batterie missilistiche americane: soprattutto i Pershing in Germania e i Cruise nella base italiana di Sigonella.
La Nato ha contestato da tempo la violazione a Mosca che fin qui ha fatto orecchie da mercante. Nel dicembre scorso i capi del Pentagono si impegnarono davanti al Congresso a individuare contromisure per cercare di fermare il Cremlino o per neutralizzare i vantaggi strategici ottenuti dai russi con la nuova arma. Fin qui la Difesa Usa non ha preso contromisure, ma il nuovo ministro, Ashton Carter, sembra più determinato.
In un vertice militare svoltosi a Stoccarda alla vigilia del G7, i Paesi occidentali hanno cominciato ad esaminare le possibilità concrete. È tutto ancora indefinito, i punti di vista sono molto diversi e non è detto che i leader politici siano in piena sintonia coi loro capi militari. Ma l’atteggiamento sta cambiando. Se fino a ieri l’accento veniva posto sulla parola «rassicurazione» — intesa come necessità di convincere gli alleati Nato dell’Est europeo, quelli che si sentono più esposti a una possibile aggressione dell’«orso russo», che l’Alleanza Atlantica non tollererà alcun attacco a uno dei Paesi membri — adesso la parola d’ordine è «deterrenza». Cioè la necessità di rafforzare il dispositivo bellico della Nato rendendolo anche più agile e flessibile: capace di reagire non solo a un classico attacco in campo aperto, ma anche ad azioni improvvise, alla guerriglia, all’organizzazione di sommosse interne.
Così, a 40 anni esatti dal primo G7, quello riunito nel 1975 nel castello francese di Rambouillet alla ricerca di ricette comuni per tirare l’Occidente fuori da una brutta recessione, gli ex Grandi (ormai il Gruppo dei Sette rappresenta solo un terzo del Pil mondiale) si confrontano su un’agenda che solo in apparenza è prevalentemente economica. I leader di Stati Uniti, Germania, Italia, Giappone, Gran Bretagna, Francia e Canada discuteranno certamente di sviluppo, crisi greca, rischi per l’euro, libero scambio, alleanze contro il «global warming». Ma la presenza più ingombrante sarà quella del fantasma dell’ottavo commensale: quel Vladimir Putin che è stato espulso dal club dei Paesi industrializzati dopo l’invasione della Crimea, ma che continua a togliere il sonno a tutti .
Massimo Gaggi
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