La svolta di Atene

La svolta di Atene

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I rap­porti tra Gre­cia ed Europa sono arri­vati a una stretta deci­siva. Tra ora e lunedì pome­rig­gio, quando si riu­ni­sce a sor­presa il Con­si­glio euro­peo, pos­sono suc­ce­dere quat­tro cose.

La prima – quella auspi­ca­bile — è un accordo sulla base della pro­po­sta del lea­der greco Ale­xis Tsi­pras: fine dell’austerità, sblocco degli aiuti euro­pei pre­vi­sti, ristrut­tu­ra­zione radi­cale del debito. Ma per­fino il più mor­bido, Jean-Claude Junc­ker, ha detto ieri «non capi­sco Tsi­pras. Non mi è pos­si­bile evi­tare ad ogni costo il fal­li­mento dei col­lo­qui». Non si pre­para un accordo dicendo che c’è un dia­logo tra sordi.

La seconda pos­si­bi­lità è che i col­lo­qui di que­sto fine set­ti­mana por­tino a un com­pro­messo inter­me­dio: fondi ponte euro­pei per il rim­borso degli 1,6 miliardi di euro da resti­tuire al Fondo mone­ta­rio a fine giu­gno. E nel frat­tempo, ieri sono arri­vati 2 miliardi del fondo di liqui­dità di emer­genza for­nito da Mario Dra­ghi alle ban­che di Atene. Dopo che molti miliardi di capi­tali sono fug­giti dal paese.

La terza pos­si­bi­lità è la più pro­ba­bile. Una rot­tura radi­cale tra Atene e Bru­xel­les. Il primo mes­sag­gio l’ha dato Mario Dra­ghi lunedi scorso (ma l’aveva già detto il 18 aprile) «se la crisi dovesse pre­ci­pi­tare, entre­remmo in acque sco­no­sciute». Pierre Mosco­vici, com­mis­sa­rio euro­peo all’economia, l’ha con­fer­mato venerdi: «Siamo alla fine dei gio­chi. È ora di agire e deci­dersi. Non c’è molto tempo per evi­tare il peg­gio». Ancora più espli­cito Donald Tusk, pre­si­dente del Con­si­glio euro­peo: la Gre­cia deve accet­tare la nostra offerta, «o avviarsi verso il default». Ma la pro­po­sta euro­pea è quella di una ritorno al pas­sato che Syriza non potrà mai accet­tare. Così Ale­xis Tsi­pras, ieri a San Pie­tro­burgo con Putin, ha repli­cato tran­quillo: «Siamo al cen­tro di una tem­pe­sta, ma non ci spa­venta il mare aperto, siamo pronti a sol­care nuovi mari».

Quale forma potrà pren­dere la rot­tura? E con quali tempi? Ci sono tre «strappi» pos­si­bili. Il più mor­bido è una dichia­ra­zione d’insolvenza senza uscire dall’euro. Atene annun­cia che non ripa­gherà il debito pub­blico dete­nuto per l’80% da fondi euro­pei d’emergenza, paesi mem­bri, Fmi, Bce, né pagherà gli inte­ressi dovuti. Si toglie in que­sto modo la pie­tra che ha al collo, la spesa pub­blica greca non viene inta­scata dalla finanza, l’economia riparte.

Se la Bce fosse d’accordo, con­ti­nue­rebbe ad ali­men­tare la liqui­dità delle ban­che gre­che, e tro­ve­rebbe il modo di gestire senza troppi danni i 322 miliardi di euro non ripa­gati. Il grande van­tag­gio sarebbe evi­tare il con­ta­gio: nes­suna spe­cu­la­zione sulla fine dell’euro. Ma sarebbe un pre­ce­dente peri­co­loso di vit­to­ria di un paese inde­bi­tato e un trionfo poli­tico per Syriza che Ber­lino dif­fi­cil­mente potrebbe per­met­tere. L’alternativa oppo­sta – un’uscita dall’euro senza insol­venza – darebbe ad Atene solo svan­taggi: sva­lu­ta­zione e un debito sem­pre più impos­si­bile da restituire.

Resta l’uscita dall’euro accom­pa­gnata dal default sul debito pub­blico. L’Eurozona e Ber­lino si libe­rano del paese mem­bro indi­sci­pli­nato, Atene riprende la sua auto­no­mia di poli­tica eco­no­mica con una dracma che si sva­luta imme­dia­ta­mente (magari del 40%), il debito che non si paga, i mer­cati finan­ziari che dichia­rano guerra alla Gre­cia, l’economia che crolla per poi ripren­dersi. Ber­lino tira un sospiro di sol­lievo, ma a Roma, Madrid e Lisbona e nei pic­coli paesi dell’est euro­peo ini­zia l’incubo: spread alle stelle, scom­messe su chi sarà il pros­simo a uscire, assalto della speculazione.

A meno che l’Eurozona garan­ti­sca a tutti i soci «buoni» dell’euro le garan­zie che avreb­bero potuto sal­vare la Gre­cia e l’Europa fin dall’inizio: mutua­liz­za­zione del debito, azze­ra­mento dello spread con gli inter­venti della Bce, blocco della spe­cu­la­zione della finanza.

Come si rea­lizza que­sta rot­tura? Prima un periodo di attesa e le ras­si­cu­ra­zioni sulla sta­bi­lità dell’euro e dell’Europa, poi si aspetta la chiu­sura di borse e ban­che il venerdi sera, il sabato e dome­nica si bloc­cano i movi­menti di capi­tale e – se torna la dracma – si for­ni­scono le ban­che delle nuove ban­co­note fre­sche di stampa in arrivo da Mosca o Pechino.

Nel week end si annun­cia la rot­tura, a mer­cati chiusi, e il lunedi il Con­si­glio euro­peo san­ci­sce il cam­bia­mento, sper­giu­rando sull’unità dell’Europa e dell’euro. È quello che è suc­cesso nei giorni scorsi e che potrebbe suc­ce­dere pro­prio in que­ste ore. Oppure tutto que­sto si pre­para per il pros­simo fine set­ti­mana, alla sca­denza del rim­borso per il Fondo mone­ta­rio. O magari nel mezzo dell’estate, come la fine di Bret­ton Woods il 15 ago­sto 1971.

Un inter­ro­ga­tivo deci­sivo è se l’eventuale rot­tura avviene in forma con­cor­data — una sepa­ra­zione con­sen­suale — o al cul­mine di uno scon­tro poli­tico. Nel primo caso l’Europa potrebbe soprav­vi­vere e lo choc in una Gre­cia impo­ve­rita, ma non più oppressa, potrebbe essere supe­rato in qual­che mese. Nel secondo caso potrebbe suc­ce­dere qua­lun­que cosa, un avvi­ta­mento cao­tico che farebbe a pezzi l’Europa insieme alla Grecia.

Lo sce­na­rio più dram­ma­tico sarebbe pro­prio que­sto: nes­suna pro­po­sta al Con­si­glio euro­peo di lunedì, nes­sun «piano B», nes­sun accordo nem­meno su come sepa­rarsi, l’Europa che si acca­ni­sce con­tro la culla in cui è nata, una crisi ver­ti­cale dell’economia greca, una stra­te­gia della ten­sione con­tro il governo di Syriza, un con­ta­gio che da debito si estende al col­lasso poli­tico dell’Europa. C’è qual­che mar­gine per evi­tare que­sto peg­gio. E per soste­nere fino in fondo le ragioni di Ale­xis Tsi­pras e della Gre­cia, con l’euro o con la dracma. Che sono le ragioni della demo­cra­zia, ad Atene come in Europa.



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