La Repubblica si festeggia con la pace
Il 2 giugno si festeggia la Repubblica (più precisamente l’anniversario del referendum che segna il passaggio dell’Italia da un regime monarchico ad un ordinamento repubblicano) e non la nazione e la patria, che sono cose ben diverse, più vaghe e anche più discutibili. Nè tanto meno è la festa delle Forze Armate, che hanno il loro giorno di festa, il 4 novembre.
Non si capisce perciò perché il 2 giugno i festeggiamenti della Repubblica siano in modo preponderante occupati –anche dal punto di vista dei costi, parliamo di alcuni milioni di euro– dalle esibizioni delle «frecce tricolori» e dalla sfilata di mezzi militari, soldati in armi ai Fori Imperiali, la via — giova sempre ricordarlo– voluta dal fascismo (allora si chiamava via dell’Impero) per ostentare il proprio «fulgore» militarista e imperialista.
Che le «feste nazionali» (di varia tipologia) siano con retorica patriottarda ricordate «in armi» è purtroppo un’abitudine non solo italiana nell’occidente democratico (pensiamo alla Francia), ma è molto in voga anche (e soprattutto) tra i paesi autoritari, nazionalisti e dittatoriali. L’esibizione, l’ostentazione delle armi e della forza militare è un retaggio –di cui purtroppo non riusciamo a liberarci– che serve a darci una parvenza di orgoglio e sicurezza.
Una sicurezza effimera in tempi di terrorismo internazionale, ma soprattutto in una situazione di crisi, come quella dell’Italia dove ci sono 6 milioni di persone che vivono in condizione di «povertà assoluta», più di 1 milione di cassintegrati e oltre 3 milioni di disoccupati. La Repubblica Italiana, ricordiamolo sempre, ha una sua Costituzione che dice all’articolo 1 di essere «fondata sul lavoro» e la festa di oggi purtroppo è all’insegna del «non lavoro» con il 13% di disoccupati di cui oltre il 44% tra i giovani.
Una ben più concreta sicurezza — di quella in armi — sarebbe quella del lavoro, di un welfare che funziona, di un’economia che riprende a marciare.
Si è cercato in questi anni — sulla spinta delle organizzazioni pacifiste– di cambiare almeno la concezione della «difesa» del paese introducendo il concetto di «difesa non armata».
Si può «difendere» il paese anche con il servizio civile e la nonviolenza, senza bisogno di armi. 50mila cittadini hanno appena sottoscritto un progetto di legge di iniziativa popolare per introdurre la «difesa non armata» nel nostro ordinamento.
Per questo è importante che nella stessa giornata della sfilata dei blindo e dei volteggi delle «frecce tricolori» la presidenta della Camera Laura Boldrini ospiti 600 ragazze e ragazzi in servizio civile nell’aula di Montecitorio, spendendo solo qualche migliaia di euro.
Ma a parte questo gesto simbolicamente importante, il 2 giugno sarà purtroppo in modo preponderante all’insegna delle armi.
Che senso abbia spendere alcuni milioni di euro per una sfilata militare non si capisce. O forse sì. A parte la retorica nazionale sempre da rinfocolare, una ragione è proprio quella della legittimazione dell’aumento della spesa militare ed in particolare degli investimenti nei sistemi d’arma: tra F35, fregate Fremn, sommergibili, ecc. oltre 20 miliardi di euro nei prossimi anni. Investimenti di cui sono contente l’industria bellica, le società e i consulenti che sul business delle armi hanno fatto in questi anni la loro fortuna. E un’altra ragione è la ricerca del consenso per le tante operazioni militari all’estero, nel segno di un ruolo sempre più interventista delle nostre Forze Armate.
Sarebbe bello che il 2 giugno tornasse invece ad essere veramente la festa della Repubblica, senza tanti fasti guerrieri e con più sobrietà civile. Una Repubblica che ha tra i suoi principi fondamentali il «ripudio della guerra» (articolo 11) e che si festeggia facendo sfilare i mezzi che servono a farla la guerra rischia di perdere il suo fondamento, le sue radici.
Altri invece sono i valori a mettere al centro di questa giornata: il lavoro, la democrazia ed i diritti, la pace.
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