La marcia dei tunisini: non lasciateci soli
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SOUSSE Insieme. Turisti (quelli rimasti) e abitanti di Sousse, la città costiera tunisina dove 38 villeggianti stranieri sono stati falciati venerdì scorso dalle raffiche di kalashnikov di Seifeddine Rezgui, e altri 36 sono finiti in ospedale, hanno solidarizzato e marciato l’altra sera per dimostrare che se il terrorismo ha vinto, innegabilmente, una battaglia, non vincerà la guerra.
Come scrive Said Benkraiem nel suo editoriale sul quotidiano di Tunisi, La Presse : «Il popolo tunisino non ha cacciato la dittatura di Ben Ali per benedire quella dei terroristi».
In difesa non solo dell’economia nazionale, ma anche dell’unica rivoluzione araba riuscita nella primavera del 2011, sono sfilati uomini e donne in lacrime, bandiere inglesi e tunisine, candele, canzoni. Si piange per chi non c’è più, e per chi resta, nello sconforto: « Sousse non morirà mai». Ma oltre 400 mila posti di lavoro sono a rischio nel Paese; più di un milione, calcolando anche l’indotto.
Eppure quasi nessuno osa chiedere, per favore, agli ospiti di rimanere ancora o, tantomeno, di tornare: chi ha scelto quest’estate la Tunisia per le vacanze aveva già sfidato la minaccia dell’Isis, dopo l’assalto del 18 marzo al museo del Bardo di Tunisi, ancora una volta diretto a colpire i visitatori stranieri, i «peccatori» occidentali.
«Non lasciateci soli — si sono limitati a chiedere alcuni tunisini attraverso i messaggi veicolati dalle tivù —, non abbandonateci o per il nostro Paese sarà la fine».
Da un pullman in partenza, un gruppo di inglesi riesce a sorridere al corteo, allarga le dita in segno di pace e in augurio di vittoria, oppure forma con gli indici e i pollici la sagoma di un cuore.
La Gran Bretagna, con quindici morti, è stata la nazione più provata dal massacro di Sousse, ma chi resta, come John Clarke, lo fa perché «la gente qui è adorabile, lo staff è stato straordinario; meritano il nostro sostegno». Kirsty, accanto a lui, assicura ai microfoni della Bbc di non sentirsi più in pericolo qui che altrove: «Sarebbe potuto accadere in qualunque altro posto al mondo».
Poliziotti in moto da spiaggia pattugliano la battigia che, tre giorni prima, era in balia di un insospettato «lupo solitario». Il governo promette migliaia di agenti in borghese armati a protezione degli alberghi, ricompense a chi dà informazioni su eventuali cellule jihadiste e sostegno economico agli operatori turistici: «Anche con zero clienti, non licenziamo nessuno — garantisce il direttore dell’hotel Riu Imperial Marhaba.
Sul sito dell’albergo campeggiano un nastrino nero e un grazie «per esserci stati vicini in un momento così triste. I nostri cuori sono con le vittime, le loro famiglie, i nostri ospiti e i nostri colleghi in Tunisia».
Elisabetta Rosaspina
In difesa non solo dell’economia nazionale, ma anche dell’unica rivoluzione araba riuscita nella primavera del 2011, sono sfilati uomini e donne in lacrime, bandiere inglesi e tunisine, candele, canzoni. Si piange per chi non c’è più, e per chi resta, nello sconforto: « Sousse non morirà mai». Ma oltre 400 mila posti di lavoro sono a rischio nel Paese; più di un milione, calcolando anche l’indotto.
Eppure quasi nessuno osa chiedere, per favore, agli ospiti di rimanere ancora o, tantomeno, di tornare: chi ha scelto quest’estate la Tunisia per le vacanze aveva già sfidato la minaccia dell’Isis, dopo l’assalto del 18 marzo al museo del Bardo di Tunisi, ancora una volta diretto a colpire i visitatori stranieri, i «peccatori» occidentali.
«Non lasciateci soli — si sono limitati a chiedere alcuni tunisini attraverso i messaggi veicolati dalle tivù —, non abbandonateci o per il nostro Paese sarà la fine».
Da un pullman in partenza, un gruppo di inglesi riesce a sorridere al corteo, allarga le dita in segno di pace e in augurio di vittoria, oppure forma con gli indici e i pollici la sagoma di un cuore.
La Gran Bretagna, con quindici morti, è stata la nazione più provata dal massacro di Sousse, ma chi resta, come John Clarke, lo fa perché «la gente qui è adorabile, lo staff è stato straordinario; meritano il nostro sostegno». Kirsty, accanto a lui, assicura ai microfoni della Bbc di non sentirsi più in pericolo qui che altrove: «Sarebbe potuto accadere in qualunque altro posto al mondo».
Poliziotti in moto da spiaggia pattugliano la battigia che, tre giorni prima, era in balia di un insospettato «lupo solitario». Il governo promette migliaia di agenti in borghese armati a protezione degli alberghi, ricompense a chi dà informazioni su eventuali cellule jihadiste e sostegno economico agli operatori turistici: «Anche con zero clienti, non licenziamo nessuno — garantisce il direttore dell’hotel Riu Imperial Marhaba.
Sul sito dell’albergo campeggiano un nastrino nero e un grazie «per esserci stati vicini in un momento così triste. I nostri cuori sono con le vittime, le loro famiglie, i nostri ospiti e i nostri colleghi in Tunisia».
Elisabetta Rosaspina
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