by redazione | 21 Giugno 2015 9:38
I muri che Bulgaria e Turchia e ora l’Ungheria, stanno costruendo per ostacolare l’immigrazione sono solo gli ultimi esempi di un mondo sempre più frazionato e diviso.
La caduta del Muro di Berlino fu festeggiata dal mondo Occidentale e dall’Est Europeo come uno dei passi più importanti per la conquista della pace nel mondo. Nazioni e popoli retti da sistemi politici ed economici antagonisti si ritrovarono improvvisamente accomunati in un’unica terra, da Lisbona a Mosca. Ci volle però poco per accorgersi che la divisione tra capitalismo e socialismo era solo una delle tante sezioni in cui era spezzettato il mondo. Nel corso dei cinque decenni che trascorsero tra la caduta del Terzo Reich e l’abbattimento del Berliner Mauer, altre barriere furono costruite ed altre ancora ne sono state erette.
Così se nel 1989 esistevano al mondo una quindicina di sbarramenti fisici, oggi ve ne sono più del triplo.
All’ultimo retaggio della Guerra Fredda, il muro che divide le due Coree, se ne sono aggiunti di più paradossali. Come definire altrimenti i muri esistenti all’interno della Comunità Europea che impediscono ai suoi cittadini la libera circolazione nei loro stessi stati o addirittura nelle loro stesse città? Si pensi solo al muro anti-Rom eretto nel 2014 a Kosice in Slovacchia. La Linea Verde di Cipro e il Muro della Pace di Belfast sono i più celebrati dai media, ma ne esiste uno anche tra Spagna e Gibilterra. E poi c’è il lascito della guerra Nato del 1999 nei Balcani, un muro di cavalli di Frisia su un ponte sul fiume Ibar che divide il Kosovo proclatosi indipendente dall’enclave serba di Mitrovica (e dalla Serbia). E non è la sola riedizione di «guerra fredda»: l’esplosione della crisi ucraina vede ora il governo di Kiev erigere un vallo con annessa barriera sulla frontiera con la Russia
È interessante notare che l’erezione di queste nuove divisioni sta seguendo la traslazione del fulcro economico mondiale dall’Europa all’Asia, dove si concentra la maggioranza delle barriere. Ai muri tra India e Pakistan, Uzbekistan, Kirghizistan e Kazakhstan, Arabia Saudita e Iraq, a breve si aggiungeranno quelli che divideranno il Pakistan dall’Iran e dall’Afghanistan, mentre la Russia ha in progetto la costruzione di un muro con la Cecenia per fronteggiare l’impeto indipendentista e jihadista.
La guerra civile siriana ha visto nascere numerose palizzate che dividono città in piccole zone religiose. È il caso del muro che separa i quartieri di Bab Amr e al-Insha’at ad Homs.
E se alcuni di questi muri sono stati oggetto di reportage e di cronache da parte dei media o di proteste dei movimenti d’opinione che spesso non hanno modificato di una virgola la realtà della prepotenza sul campo — il Muro di Sharon, eretto a «scopo di sicurezza» da Israele e in realtà utile a dividere in due le terre della Palestina occupata e a negare la possibilità di uno Stato palestinese -, altri invece sono passati inosservati. Come il cosiddetto Muro dei Rohingya che il Myanmar sta costruendo al confine con il Bangladesh per impedire ai musulmani Rohingya di «invadere» il paese e preservare lo spirito buddista o, per lo stesso motivo religioso, il progetto della costruzione di un muro che dividerà la Malesia musulmana dalla Tailandia buddista.
Più tristemente famosa è la barriera di sassi, sabbia, reti metalliche costruita dal Marocco lungo i 2.700 km di frontiera tra il Sahara Occidentale e gli stati di Mauritania e Algeria per fronteggiare eventuali attacchi Sahawari, la cui nazione (266.000 kmq) dal 1975 è occupata dall’esercito di Rabat nonostante l’Onu insista perché ai 500.000 abitanti venga concesso il diritto di scegliersi il loro destino.
Col tempo le recinzioni hanno cambiato anche la loro funzione. Se, fino alla fine del XX Secolo avevano in maggioranza un carattere prettamente politico e antiterroristico, al passaggio del millennio si sono moltiplicati i muri anti-immigrazione. I primi sbarramenti costruiti a tale scopo sono stati piantati nel 1975 dal Sud Africa dell’apartheid al confine con il Mozambico. Nel 1998 è stata la Spagna a erigere le note palizzate che separano le enclavi di Ceuta e Melilla dal Marocco, mentre dal 2002 gli Stati Uniti continuano ad allungare la serie di sbarramenti al confine con il Messico, che oggi hanno raggiunto l’incredibile lunghezza complessiva di 560 chilometri.
Anche la Cina, preoccupata per una sempre più massiccia immigrazione clandestina di nordcoreani, dal 2006 ha in fase di costruzione una serie di sbarramenti con la Corea del Nord. La maggiore facilità di movimento oggi esistente all’interno della Repubblica Democratica di Corea ha intensificato l’afflusso di coreani verso le regioni di confine creando non pochi problemi alle autorità di Pechino.
Il boom economico dei piccoli paesi del Golfo Persico ha indotto Emirati Arabi ed Oman a separare i loro confini per evitare la porosità degli stessi e impedire l’osmosi di immigrati asiatici tra le due nazioni. Così è stato tra Arabia Saudita e Yemen; Turkmenistan ed Uzbekistan; Brunei e Malesia; Botswana e Zimbabwe; Israele ed Egitto, Grecia e Turchia.
Ma il record assoluto spetta all’India, paese che, pur continuando a recitare il ruolo di patria del pacifismo gandhiano, sta circondando l’intero Bangladesh di una serie di reticolati di filo spinato e cemento che, una volta ultimati, raggiungeranno la lunghezza di 3.200 chilometri ed isoleranno i 155 milioni bangladeshiani dal resto del continente.
Una terza tipologia di pareti divisorie tra stati sono quelle che vengono costruite ufficialmente per fronteggiare catastrofi naturali. Ne sono un esempio i muri costruiti dall’Arabia Saudita al confine con l’Oman, gli Emirati Arabi, il Qatar e la Giordania, o quello tra Zimbabwe e Zambia e Sud Africa e Zimbabwe. Israele sta progettando di innalzare una palizzata lungo il confine meridionale con la Giordania che, se realizzata, isolerebbe completamente lo stato di Tel Aviv dalle nazioni confinanti.
Caratteristica comune di questi nuovi steccati costruiti «per difese naturali» è che sono prolungamenti di barriere già esistenti rendendo, di conseguenza, difficile separare l’effettiva utilità preventiva nei confronti di cataclismi, da quelle prettamente politiche o sociali.
Nell’ottica di chi li costruisce i muri dovrebbero garantire un senso di sicurezza alla comunità tenendo lontani i pericoli (umani o naturali che siano) contro cui sono stati eretti, ma a lungo andare l’autoisolamento rende la comunità più debole e insicura perché un muro, per qualunque motivo venga costruito, impedisce di vedere al di là del proprio orticello.
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