Il buco dell’Inps arriverà a 56 miliardi

Il buco dell’Inps arriverà a 56 miliardi

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Se l’economia non crescerà, i deficit crescenti dell’Inps — più di 12 miliardi quello previsto per il 2023 — asciugheranno l’attuale attivo patrimoniale (18,5 miliardi nel 2014) trasformandolo rapidamente in un passivo. Che salirà fino a 56 miliardi e mezzo, sempre nel 2023.
ROMA Bisognerà che l’economia davvero riprenda a crescere, se vogliamo che il bilancio dell’Inps non peggiori di anno in anno, scaricando i suoi deficit sui conti dello Stato. Deficit crescenti — più di 12 miliardi di euro quello previsto per il 2023 — che asciugheranno l’attuale attivo patrimoniale (18,5 miliardi di euro nel 2014) trasformandolo rapidamente in un passivo, che salirà fino a 56 miliardi e mezzo, sempre nel 2023. E questo nonostante l’Inps poggi su un sistema di vasi comunicanti dove le pensioni delle gestioni in rosso (dipendenti pubblici, fondi speciali, artigiani, dirigenti d’azienda, coltivatori) vengono pagate con gli attivi degli altri fondi: dipendenti privati, parasubordinati, «prestazioni temporanee» (cioè i contributi versati per cassa integrazione, assegni familiari, malattia e maternità). Non basta insomma la solidarietà intercategoriale, propria del sistema pubblico, a sanare gli squilibri delle categorie colpite da sfavorevoli rapporti tra lavoratori e pensionati e da contributi insufficienti a pagare prestazioni erogate con regole troppo generose.
Questo il quadro esaminato martedì scorso dal Consiglio di indirizzo e vigilanza dell’istituto che gestisce le pensioni. È contenuto nella relazione della commissione economico-finanziaria sulla «Verifica tecnico-attuariale» per il 2014-2023 trasmessa dal direttore generale il 24 marzo allo stesso Civ. Si tratta in pratica del bilancio di medio periodo predisposto dal servizio statistico-attuariale dell’Inps sulla base delle norme vigenti «al 31 ottobre 2014». La proiezione, che lo stesso Civ trasmetterà ai ministeri vigilanti e alle commissioni parlamentari competenti, abbraccia un arco di dieci anni. Per il 2014-2018 è elaborata sul quadro macro della nota di aggiornamento del Def 2014, il Documento di economia e finanza, approvata lo scorso 30 settembre; per il quinquennio 2019-2023 sulle previsioni della Ragioneria generale dello Stato. Va precisato che, per il primo periodo (2014-2018), il nuovo Def 2015, approvato il 10 aprile scorso, prevede un andamento dell’economia più favorevole rispetto a quello utilizzato dall’Inps, il che potrebbe migliorare un pochino i saldi del documento esaminato dal Civ. Per il secondo periodo (2019-2023), invece, il quadro immaginato dalla Ragioneria appare roseo. Prevede infatti, in media d’anno, una crescita del Pil reale del 2%, un tasso d’inflazione del 2%, un aumento dell’occupazione superiore all’1%.
Fatte queste premesse, e pur volendosi augurare un risultato meno negativo di quanto stimato otto mesi fa dal servizio statistico-attuariale dell’Inps, la sostanza non cambia: i conti della previdenza sono destinati a peggiorare. Pesano, in particolare, i deficit crescenti di alcune gestioni: dipendenti pubblici (ex Inpdap), fondi speciali (elettrici, trasporti, telefonici), dirigenti d’azienda (ex Inpdai), artigiani, coltivatori diretti. Deficit che non riescono ad essere compensati dagli attivi delle altre gestioni: «prestazioni temporanee», parasubordinati , dipendenti privati. Fatte le somme, il deficit complessivo, che secondo il bilancio preventivo 2015 sarà di 6,8 miliardi, salirà, secondo le proiezioni del bilancio tecnico-attuariale, da circa 7 miliardi nel 2018 a 12,4 nel 2023. E il patrimonio netto, a causa del sommarsi dei deficit annuali, sarà nel 2023 in rosso per 56,5 miliardi.
Le differenze tra i fondi sono impressionanti. La gestione dei dipendenti pubblici (ex Inpdap) vedrà crescere il deficit di esercizio dai 5 miliardi attuali a 20,4 miliardi nel 2023 e il passivo patrimoniale da quasi 7 miliardi a 112,8. Il fondo artigiani subirà un peggioramento del passivo dagli oltre 5 miliardi del 2015 ai 7,6 miliardi del 2023 e il patrimonio netto, già in rosso di quasi 50 miliardi, toccherà -108 miliardi del 2023. Il deficit della gestione ex Inpdai si manterrà fra i 4 e i 5 miliardi per tutto il decennio e quindi il disavanzo patrimoniale salirà a 71 miliardi nel 2023, anche perché si tratta, come per gli elettrici e i telefonici, di un fondo a esaurimento, dove i nuovi lavoratori vengono iscritti al fondo dipendenti privati. Negativo anche l’andamento dei coltivatori diretti: 4-4,5 miliardi all’anno di deficit e patrimonio netto a -120 miliardi nel 2023. Male i fondi speciali, che già oggi hanno rilevanti disavanzi patrimoniali: saliranno a 47 miliardi per gli elettrici a 26 per i trasporti, a 18 per i telefonici.
Questi risultati negativi vengono bilanciati solo in parte da quelli positivi di altre gestioni. Prima fra tutte il fondo «prestazioni temporanee», che ha sempre chiuso in forte attivo, tanto da vantare un patrimonio netto superiore a 180 miliardi. Con la crisi e il forte aumento della spesa per ammortizzatori il risultato d’esercizio è sceso drasticamente ma è ancora positivo (850 milioni nel 2014). E anche in futuro sarà questo fondo a compensare le gestioni in rosso, insieme ad altri due fondi in attivo per tutto il decennio: quello dei parasubordinati e quello dei dipendenti privati (al netto dei fondi speciali). Nel 2023 il risultato d’esercizio previsto per le «prestazioni temporanee» è positivo per 3,8 miliardi, di 15,6 miliardi per i dipendenti privati e di 11 per i parasubordinati. E gli attivi patrimoniali saranno rispettivamente di 193, di 74 e di 181 miliardi. Ma ciò non basterà, appunto. E pensare che il presidente dell’Inps, Tito Boeri, ha detto in Parlamento che nello stato patrimoniale ci sono 94 miliardi di euro di contributi non riscossi. Anche qui, accumulati anno dopo anno.
Enrico Marro


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