Ikea, lo sciopero blocca i locali. “Adesso il contratto”

by redazione | 7 Giugno 2015 9:10

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Le ban­diere rosse del sin­da­cato davanti a Ikea non si erano mai viste: deve essere suc­cesso qual­cosa di grosso, se l’oasi scan­di­nava dove tutto si monta e si smonta con la mas­sima armo­nia è arri­vata allo scio­pero. E in effetti i 6 mila dipen­denti dei 21 iper­mer­cati ita­liani dell’arredo low cost sono arri­vati al limite dopo che l’azienda ha improv­vi­sa­mente deciso di disdet­tare l’integrativo: ieri la pro­te­sta indetta da Fil­cams Cgil, Fisa­scat Cisl e Uil­tucs Uil ha visto ade­sioni dal 60% al 95%, con il rela­tivo ral­len­ta­mento delle vendite.

A Genova il nego­zio è rima­sto chiuso, a Salerno le casse si sono bloc­cate a lungo, e anche a Bolo­gna i ser­vizi sono stati ero­gati a sin­ghiozzo visto che a lavo­rare erano rima­sti sol­tanto i mana­ger. Ma i disagi si sono sen­titi in tutta Ita­lia: “Ingor­ghi, file, lun­ghe attese. Posta­zioni vuote, diversi bar e risto­ranti chiusi nella gior­nata di mas­sima affluenza delle fami­glie, il sabato – spiega Giu­liana Mesina, segre­ta­ria nazio­nale Fil­cams, dal pre­si­dio di Firenze — A quanto ci risulta, però, alla fine l’azienda non ha fatto ricorso agli inte­ri­nali per sosti­tuire chi scioperava”.

Già l’anno scorso, insieme ad altre asso­ciate a Feder­di­stri­bu­zione – Coin, Car­re­four, Auchan, Esse­lunga – Ikea era uscita dal con­tratto nazio­nale di Con­f­com­mer­cio, con il risul­tato che si è già perso l’ultimo rin­novo siglato e i rela­tivi aumenti. Ma non è bastato, per­ché poco dopo l’apertura del tavolo per l’integrativo, la set­ti­mana scorsa di punto in bianco il colosso sve­dese ha deciso di but­tare all’aria anche l’integrativo, disdet­tan­dolo uni­la­te­ral­mente. “Una chiara spada di Damo­cle per farci accet­tare di fir­marne uno nuovo, con tagli lineari pesan­tis­simi sui salari, ma noi non ci stiamo e abbiamo rea­gito con lo scio­pero”, spiega la sin­da­ca­li­sta della Cgil.

Esi­genze legate al “mutato con­te­sto eco­no­mico”, spiega la mul­ti­na­zio­nale, che cer­ta­mente ha visto calare le ven­dite a causa della crisi, sce­na­rio che il sin­da­cato non si sente di negare: “La crisi c’è stata – ammette Mesina – ma Ikea resta un’azienda sana e non ha un euro di rosso. Que­sto gra­zie a una sag­gia gestione degli inve­sti­menti da parte della diri­genza, ma anche per le scelte fatte dal sin­da­cato, con diversi accordi che hanno ritar­dato la matu­ra­zione delle inden­nità. Con­trat­tiamo con Ikea da 25 anni, le rela­zioni sono sem­pre state buone, e non accet­tiamo di venire bol­lati come ‘irre­spon­sa­bili’ per aver deciso lo scio­pero. Adesso siamo dispo­ni­bili a lavo­rare su fles­si­bi­lità e pro­dut­ti­vità, ma quello che ci viene richie­sto, il taglio lineare dei salari, è inaccettabile”.

“I diritti non si smon­tano”, recita lo slo­gan sui car­telli delle tute giallo-blu. Ed effet­ti­va­mente Ikea si è messa di buzzo buono per “smon­tare” veri e pro­pri pezzi di busta paga che una volta persi non si potreb­bero recu­pe­rare più: “Innan­zi­tutto minac­ciano il sala­rio azien­dale con­so­li­dato, matu­rato per anzia­nità, che vor­reb­bero tra­sfor­mare in varia­bile – spie­gano alla Fil­cams – Si tratta di almeno 70–80 euro per un full time”.

C’è poi il capi­tolo delle mag­gio­ra­zioni dome­ni­cali, che vista l’alta inci­denza del part time (il 70% dei dipen­denti, 24 ore medie set­ti­ma­nali) rap­pre­sen­tano una vera e pro­pria bom­bola d’ossigeno per sti­pendi al limite della soprav­vi­venza e in molti casi sotto gli 800 euro: “Le mag­gio­ra­zioni si atte­stano tra il 40% e il 70%, con punte iso­late del 130% — dice la Fil­cams – Se le decur­tano è una rovina per tanti”.

Un incon­tro con l’azienda è già fis­sato per il 12, un altro per il 25: il pro­blema, a que­sto punto, è capire quanto ci sia di “tat­tico” nell’irrigidimento di Ikea, o se dav­vero non sia mutato in modo defi­ni­tivo l’approccio di una mul­ti­na­zio­nale che fino a ieri appa­riva asso­lu­ta­mente friendly verso i suoi dipen­denti. È cam­biato anche il con­te­sto poli­tico, oltre a quello eco­no­mico: il capo­fila della “disin­ter­me­dia­zione” e del muso duro con­tro il sin­da­cato, Ser­gio Mar­chionne, ha incas­sato un bel nulla osta da parte di tutti gli ultimi governi, com­preso quello gui­dato da Mat­teo Renzi.

“Il governo ci sta igno­rando del tutto, tra­scura l’intero set­tore della grande distri­bu­zione, per cui non esi­ste una stra­te­gia né una idea di svi­luppo – con­clude Mesina, della Fil­cams Cgil – Basti pen­sare ai 1426 licen­zia­menti annun­ciati da Auchan, alle recenti ten­sioni in Car­re­four. Le aper­ture h24 della libe­ra­liz­za­zione tar­gata Monti, a cui ci siamo oppo­sti fin dall’inizio, non hanno por­tato un posto di lavoro in più. Ora vor­remmo capire se la poli­tica ita­liana ha qual­che idea sul futuro dei milioni di lavo­ra­tori dei ser­vizi, o se ha deciso di lasciarci espo­sti alla dere­gu­la­tion totale”.

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