« Fuori il Pd dalla scuola »
No Ddl Scuola. In duemila con i sindacati in corteo a Roma contro la riforma della scuola di Renzi. Contestazione a Mineo (Pd) salvato da Bernocchi (Cobas). Il voto di fiducia al Senato ha messo fine a un equivoco: dopo la riforma Renzi nessun partito di «sinistra» potrà più fare politiche di «destra». Le immagini, le reazioni, il racconto di una giornata che ha messo fine alla libertà di insegnamento nella scuola in Italia
Il patto per tenere unito il Partito Democratico nelle mani di Renzi ha tenuto e l’agnello della scuola è stato sacrificato. La sinistra Dem ha votato la fiducia sul Ddl Renzi, ha salvato il governo e ha segnato la propria fine. «È la peggiore fiducia possibile – ha ammesso il senatore Pd Miguel Gotor, docente universitario – perché viene data a un governo che con il suo comportamento mostra di non avere fiducia nel mondo della scuola. Questo non è il partito né il programma con cui nel 2013 noi senatori del Pd ci siamo presentati alle elezioni. Gli italiani e gli elettori non ci perdoneranno facilmente questo tradimento». Il voto è stato dato per evitare di far cadere il governo — «il paese non può assolutamente permetterselo» — e per «disciplina di partito» — ha precisato Gotor.
Una pietra tombale per l’equivoco rappresentato dalla «sinistra» Pd. Un equivoco durato quindici anni: è dalla riforma Berlinguer che gli eredi del partito comunista (Pds-Ds-Pd) usano i voti degli insegnanti per fare politiche contro la scuola e l’istruzione pubblica. Renzi rappresenta la svolta: con lui il Pd ha mostrato la sua internità al progetto neoliberista, aziendalista e autoritario istituendo il «preside-manager», la chiamata diretta dei docenti, un vulnus alla libertà di insegnamento, aggravato dall’introduzione del principio del nepotismo nella scuola che si manifesterà quando i presidi dovranno scegliere tra migliaia di curriculum il loro docente preferito.
Il messaggio è stato contestato dai duemila manifestanti che ieri a Roma hanno sfidato con i sindacati Flc-Cgil e Cobas, Cisl e Uil Scuola, Gilda e Snals l’afa di fine giugno per protestare contro un partito che si è arreso al suo leader nella speranza di puntellarne il governo. A fare le spese del «tradimento» è stato Corradino Mineo, il senatore Pd «dissenziente» che con Walter Tocci e Felice Casson, ieri non ha partecipato al voto al Senato. Mentre era ancora in corso il voto al Senato, Mineo ha aggirato l’imponente massicciata degli autoblindo della polizia che hanno impedito al corteo di raggiungere il Senato, bloccandolo in piazza Sant’Andrea della Valle. Mineo ha seguito Stefano Fassina, che però si è dimesso dal Pd 48 ore fa e ha sfidato la tensione immergendosi nella folla facendosi intervistare nello spazio tra i poliziotti con scudi e caschi e la prima fila del corteo in piazza Sant’Andrea della Valle. Accanto a lui, stretto tra cordoni e urla, Arturo Scotto di Sel. La scelta di Mineo di non votare «no» alla fiducia, e di non presentarsi in Senato, ha creato subito forti tensioni.
«Che ci fai qui – gli ha chiesto un’insegnante in un capannello, tra telecamere, registratori e megafoni – Non lo capisci che con il tuo partito ormai la rottura non è più ricucibile?». Mineo si è ritrovato da solo, ha mostrato coraggio, mentre la rabbia e la frustrazione si è scaricata contro di lui. «Perché non hai votato no?» gli ha chiesto un altro insegnante. «Non l’ho fatto perché avrei accettato il ricatto di Renzi» ha risposto Mineo. Una spiegazione che non è stata percepita. Il Pd è il partito che ha «tradito». «Te ne devi andare!». «Esci da quello schifo, ci vuole dignità!».
La tensione è salita alle stelle. Mineo ha cercato una via di fuga, senza trovarla. «Vai in aula e vota no, vergogna!» gli ha detto un insegnante, paonazzo. A salvare il senatore è arrivato Piero Bernocchi dei Cobas che lo ha stretto con un braccio e lo ha portato fuori dalla piazza. Trecento persone li hanno seguiti. Il servizio d’ordine dei Cobas ha cercato di fare cordone, mentre qualcuno gridava al senatore: «Porci, siete tutti attaccati alle poltrone!». Bernocchi è riuscito a mettere in sicurezza Mineo dietro un cordone di polizia dopo un inseguimento di cinquecento metri in Corso Vittorio Emanuele. La polizia si è schierata, i blindati sono avanzati. Nessuno da quella parte ha capito cosa stava accadendo.
Una scena drammatica. Le più furenti erano le insegnanti, in grande maggioranza al corteo. «Il Pd ha finito con la sinistra – ha argomentato una docente, una volta scesa la tensione mentre le campane della Basilica di Sant’Andrea della Valle suonavano per la messa delle 19 – Questo non è il Pd che è stato votato». Singolare assonanza con la posizione di Gotor qualche minuto prima in Senato. Il dato politico di una vicenda nata male, e finita peggio, è confermato. La riforma passerà, ma d’ora in poi nessun partito potrà usare i voti di sinistra per fare politiche di destra. Agnizione tardiva, avvenuta troppo tardi, alla fine di un sonno durato tre lustri. Tutto questo fa parte della tragedia italiana.
La manifestazione ha tenuto. Alle 20,30 gli insegnanti erano ancora seduti sull’asfalto del Corso in assemblea. L’ultimo atto di resistenza in una giornata iniziata all’alba dai sindacati e dagli studenti dell’Uds al Miur e nei principali monumenti della Capitale. Insieme hanno esposto lo striscione: «Fiducia nel palazzo, sfiducia nelle scuole».
***Le reazioni***
Sindacati: «Ricorsi a pioggia in tribunale». Vendola: «Renzi peggio di Gelmini». Taverna (M5S): «Ecco il vero Pd. Che schifo che deve essere una vita da schiavi»
Opposizioni esautorate, una società in movimento contro il Ddl Scuola messa a tacere, un caos amministrativo di dimensioni ancora sconosciute nelle scuole e l’ingiustizia contro i docenti precari abilitati. Questi i primi effetti dell’ostinazione cieca del governo sulla riforma della scuola. «A settembre, con la ripresa delle lezioni, la scuola si troverà ad affrontare il caos per colpa di una riforma destabilizzante che dovrà essere solo contrastata. Continueremo la nostra battaglia in tutte le sedi, non escluse le aule dei tribunali» sostiene Francesco Scrima (Cisl).
“Il governo e il Pd – aggiunge Rino Di Meglio (Gilda) — hanno oggi consumato uno strappo insanabile con gli insegnanti, una frattura che sicuramente avrà conseguenze sul piano elettorale. Il 7 luglio, data fissata per l’ultimo passaggio parlamentare, scenderemo ancora in piazza tutti uniti a gridare a gran voce il nostro no alla riforma. “Se il presidente del Consiglio pensa di aver vinto la guerra, si sbaglia di grosso — sostiene Domenico Pantaleo (Flc-Cgil) –il mondo della scuola si batterà con tutti gli strumenti consentiti dalla legge affinché questa riforma incostituzionale venga cancellata. Ci opporremo adesso e a settembre in tutti i modi possibili all’attuazione di quei contenuti che distruggono la scuola pubblica”. Marcello Pacifico dell’Anief annuncia un ricorso a tappetto per i 70 mila docenti abilitati esclusi dalle assunzioni già a settembre.
“C’erano altre strade — sostiene la segretaria confederale Cgil Gianna Fracassi — per garantire sia l’immissione in ruolo dei precari che una discussione approfondita sul resto del provvedimento: non si sono volute percorrere, minacciando e contrapponendo, in una sorta di ricatto, la stabilizzazione del personale con la possibilità del Parlamento di svolgere fino in fondo il proprio ruolo”.
E’ l’inizio del «secondo tempo» della lotta contro la riforma di Renzi e del Pd: «Questa mobilitazione non è che l’inizio di una nuova ondata di agitazione che arriverà sino all’autunno che punterà a bloccare in ogni modo l’applicazione di questa riforma» annuncia Danilo Lampis degli studenti Uds. Questo provvedimento apre all’istituzione di un modello di governo vecchio e autoritario della scuola e limita la libertà di insegnamento» si legge in una nota delle 32 associazioni, tra cui Forum Terzo Settore, Libera, Rete della Conoscenza. «Hanno fatto un deserto e lo hanno chiamato “buona scuola”». Quello che non è riuscito alla Gelmini contro la scuola pubblica lo sta facendo Renzi, il suo governo, il Pd» ha scritto Nichi Vendola (Sel) su twitter. «Quello della maggioranza è stato un “sì” alla morte della scuola pubblica, un sì per una scuola azienda, un sì a capo chino per garantirsi una poltrona e qualche anno ancora fino alla pensione. Ecco come il Pd ripaga i suoi elettori, sputando sulla costituzione e sullo stato di diritto. Che schifo che deve essere una vita da schiavi» ha scritto su Facebook la senatrice del Movimento 5 Stelle Paola Taverna.
*** La galleria di immagini ***
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