Expo e la sfida (da vincere) di un mondo senza fame

Expo e la sfida (da vincere) di un mondo senza fame

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Un mondo senza fame non è un’utopia. Un mondo senza fame in cui tutti abbiano la possibilità di mangiare e di studiare è possibile, e nell’arco di questa generazione. Povertà e indigenza, in qualunque Paese, non sono condizioni naturali o fatti inevitabili della vita. Sì, possiamo davvero costruire un mondo senza fame. E solo in un mondo senza fame potremo costruire la pace.
Sebbene la fame non sia certo l’unica causa dei conflitti, sicurezza alimentare e pace si sostengono a vicenda: come la fame alimenta i conflitti, così le guerre acuiscono la fame.
La nostra convinzione che un mondo così sia davvero possibile nasce non solo dalla speranza e dall’imperativo etico della lotta per un pianeta migliore. Ma scaturisce dai progressi che molti Paesi hanno già compiuto nella lotta alla fame e alla povertà, e dalle nostre personali esperienze di impegno per migliorare le condizioni sociali in Brasile.
Fra pochi giorni aggiungeremo anche i nostri nomi alla Carta di Milano. Questo avverrà durante la riunione dei ministri dell’Agricoltura che si incontreranno a Expo Milano 2015, il quattro e cinque giugno.
La Carta di Milano, che sarà l’eredità di questa esposizione universale, tocca problemi cruciali come lo scandalo delle perdite e degli sprechi alimentari, la necessità di assicurare cibo a sufficienza per una popolazione mondiale in crescita preservando l’ambiente e la biodiversità, e infine il ruolo importantissimo delle donne nello sviluppo. Questi temi sono una priorità per tutti noi.
La Carta offre al mondo la possibilità di partecipare alla discussione globale sulla futura agenda dello sviluppo, e pone a tutti noi una domanda fondamentale: cosa possiamo fare noi, individui e «cittadini di questo pianeta», per fare la differenza con le nostre azioni quotidiane e con il nostro stile di vita?
I decenni passati hanno portato progressi innegabili nella lotta alla fame. Il numero di persone che ne soffrono è diminuito di 200 milioni dal 1990, e la percentuale di persone sottonutrite è scesa del 40 per cento nei Paesi in via di sviluppo.
Ma non lasciamoci ingannare, la battaglia contro la fame non è vinta. Secondo le ultime stime della Fao (l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura) appena pubblicate, il numero di affamati è poco al di sotto degli 800 milioni, una persona su nove nel mondo. C’è ancora molto da fare.
Il Brasile e altri Paesi in Africa e America Latina come Bolivia, Argentina, Senegal e Mozambico, stanno forgiando relazioni dinamiche fra protezione sociale e supporto produttivo. Ci sono innumerevoli esempi di successo nati da questa combinazione, come i programmi per i pasti scolastici che prevedono l’acquisto di cibo dai produttori locali, o quelli per il trasferimento di denaro come il brasiliano Bolsa Familia («assegno familiare»), che assicura un reddito minimo alle famiglie cha continuano a mandare i figli a scuola e li sottopongono regolarmente a check-up medici.
Questi programmi da un lato supportano i produttori locali assicurando i pasti ai bambini. Dall’altro, aiutano le famiglie ad affrontare le loro necessità primarie e a mantenere i figli a scuola. L’obiettivo è spezzare il circolo dell’indigenza che si protrae per generazioni offrendo ai giovani delle opportunità che i loro genitori non hanno mai avuto.
Questo approccio integrato, che spazia dalla produzione agricola all’acquisto di cibo e all’educazione infantile, aiuta a spiegare il successo del programma brasiliano «Fame Zero» e come questo abbia ispirato una serie di programmi nazionali e regionali sulla sicurezza alimentare in tutto il mondo.
Sebbene le organizzazioni non governative svolgano un lavoro molto importante, l’impegno politico dei Paesi — governi e società — e il sostegno tecnico e finanziario delle istituzioni multilaterali sono fattori indispensabili per rispondere alla sfida dell’inclusione sociale. Solo con una reale volontà politica sarà possibile sconfiggere la povertà e includere i poveri nei bilanci nazionali.
Se questo accade, i risultati non tardano ad arrivare. Quando la lotta alla fame divenne la priorità del governo brasiliano nel 2003, i progressi furono immediati. In soli cinque anni, fra il 2002 e il 2007, la proporzione di persone sottonutrite passò da 11 punti percentuali a meno del 5 per cento in tutto il Paese. Nel 2014 il Brasile è uscito dalla mappa globale della fame avanzando verso il raggiungimento di un obiettivo ancora più ambizioso: quello di mettere fine anche alla povertà estrema.
Lo stesso impegno politico è sempre più condiviso in varie parti del mondo. Al summit dell’Unione africana del 2014 a Malabo, le nazioni africane si sono impegnate a porre fine a fame e malnutrizione entro il 2025. L’Istituto Lula e la Fao collaborano attivamente perché questo obiettivo coraggioso diventi realtà.
La responsabilità primaria di assicurare il diritto a cibo adeguato e sano spetta ai governi nazionali, ma noi tutti ne condividiamo una parte.
Non esiste un’unica soluzione valida per tutti. I Paesi possono — e dovrebbero — imparare dagli altri, e adattare le iniziative di successo alle proprie esigenze. Ma ciascuno deve trovare la propria strada.
La lotta alla fame è un beneficio per la società intera. Le risorse finanziarie degli assegni destinati ai poveri non si prestano a speculazioni. Diventano cibo, vestiti, materiali scolastici. E muovono il commercio locale e l’industria, creando lavoro.
I poveri non devono essere considerati un problema. I veri problemi sono l’ineguaglianza nel mondo, la fame, i conflitti militari. Se solo ne hanno la possibilità, le persone diventano parte della soluzione.
Il mondo possiede già tutto il denaro, il cibo e le opportunità che servono, e certamente ciascuno di noi custodisce la solidarietà di cui pure abbiamo bisogno per cancellare la fame dalla faccia della Terra.
Il nostro mondo sarà equo ed armonioso quando tutti potranno mangiare e vivere in pace. E insistiamo: un mondo così è possibile.
* Luiz Inázio Lula da Silva è ex presidente del Brasile; José Graziano da Silva è direttore generale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (Fao)


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