Eurogruppo a 18, Grecia esclusa

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Fallimento a Bruxelles. I creditori rifiutano la richiesta presentata da Atene di un allungamento di qualche settimana del programma di aiuti, per poter rimborsare l’Fmi martedi’ e far fronte al referendum del 5 luglio. “Il piano B diventa A”: in agenda, ormai, il default della Grecia. Sospeso il versamento dell’ultima tranche del programma di “aiuti”. Varoufakis rifiuta di firmare un testo che accolla la colpa della rottura ad Atene. La Bce in prima linea di fronte al rischio di un bank run. Per Dijsselbloem ormai “i negoziati sono finiti” e l’unico problema è “salvare la stabilità dell’eurozona”

L’Eurogruppo è finito a 18, senza la Gre­cia. Con una con­sta­ta­zione di fal­li­mento: il pac­chetto riforme con­tro soldi fre­schi è finito. Yanis Varou­fa­kis ha rifiu­tato l’ultima umi­lia­zione: gli hanno chie­sto di fir­mare un testo dove la Gre­cia si assu­meva la piena respon­sa­bi­lità della rot­tura. Già a metà pome­rig­gio, per i mini­stri della zona euro, come ha rias­sunto uno dei “fal­chi”, il mini­stro fin­lan­dese Ale­xan­der Stubb, “il piano B diventa il piano A”, cioè il default della Gre­cia. Tsi­pras ieri ha par­lato ancora al tele­fono con Hol­lande e Mer­kel, per cer­care una via d’uscita. Ma l’Eurogruppo è andato avanti nel muro con­tro muro, mal­grado il com­mis­sa­rio Pierre Mosco­vici abbia ancora ten­tato di far pas­sare la linea che “si puo’ sem­pre negoziare”.

I fal­chi hanno vinto, con­tro una parte dell’Eurogruppo che avrebbe voluto cer­care ancora una via del dia­logo. L’Eurogruppo ha rifiu­tato la richie­sta di Atene per un “pro­lun­ga­mento di qual­che set­ti­mana” del pro­gramma di soste­gno in corso, come aveva chie­sto Yanis Varou­fa­kis, “per per­met­tere al popolo di essere ascol­tato”, con la con­vo­ca­zione del refe­ren­dum per il 5 luglio, fatta nella notte tra venerdi’ e sabato da Ale­xis Tsi­pras e che ha lasciato di sasso i part­ner. La riu­nione dell’Eurogruppo si è quindi con­cen­trata sulla gestione di un even­tuale default della Gre­cia. Mar­tedi’ 30 giu­gno ci sono due sca­denze per Atene: il rim­borso di 1,6 miliardi all’Fmi (a mez­za­notte, ora di Washing­ton) e la fine della (seconda) esten­sione del piano di aiuti, cioè eva­po­rano gli ultimi 7,2 miliardi che avreb­bero dovuto essere ver­sati alla Gre­cia. Atene dovrà fare da sola, del resto è dall’agosto 2014 che non riceve più un euro di soste­gno dai part­ner. L’Eurogruppo è stato sospeso poco dopo le 17, con l’abbandono della Gre­cia, che è stata con­vo­cata a discu­tere con la Bce, per evi­tare un bank run lunedi’. Il governo potrebbe essere obbli­gato a imporre un con­trollo sul movi­mento dei capi­tali, un cor­ra­lito, come in Argen­tina nel 2001.

Ormai, la pre­oc­cu­pa­zione dei 18 fa finta di esu­lare dalla Gre­cia. “Dob­biamo pre­pa­rarci a tutto per sal­vare la sta­bi­lità dell’eurozona”, ha affer­mato il pre­si­dente dell’Eurogruppo, Jeroen Dijs­sel­bloem. Biso­gna cioè evi­tare che l’eventuale Gre­xit non tra­scini con sé, nel medio periodo, altri paesi inde­bi­tati. Non biso­gna che i mer­cati si agi­tino. Lunedi’ e tutta la pros­sima set­ti­mana saranno momenti-chiave.

La gior­nata era già ini­ziata male ieri. L’annuncio della notte di Tsi­pras aveva por­tato al tavolo della trat­ta­tiva dei nego­zia­tori estre­ma­mente ner­vosi. Wol­fgang Schäu­ble ha quasi assa­po­rato la sua vit­to­ria: la Gre­cia “ha messo fine ai nego­ziati in modo uni­la­te­rale” ergo “non c’è nes­sun aiuto per chi non nego­zia”. Dijs­sel­bloem si è detto “deluso” dall’annuncio del refe­ren­dum, “una brutta sor­presa, una tri­ste deci­sione”, che “chiude la porta men­tre era ancora pos­si­bile tro­vare una solu­zione”. La solu­zione era pero’ a senso unico: l’accettazione delle riforme impo­ste dai cre­di­tori, con­si­de­rate un ”ulti­ma­tum” da Tsi­pras, anche per­ché in cam­bio non c’era l’impegno della ristrut­tu­ra­zione del debito. Eppure, alcuni paesi hanno cer­cato di far accet­tare que­sto deal dall’Eurogruppo, il pac­kage finan­zia­rio con­tro la ristrut­tu­ra­zione: all’ultimo anche la Com­mis­sione e la Fran­cia. E’ da tempo che l’Fmi chiede che venga accet­tata una ristrut­tu­ra­zione (anche per­ché il pre­stito dell’istituzione di Washing­ton non sarebbe coin­volto). Ieri, Chri­stine Lagarde non ha nasco­sto pre­oc­cu­pa­zione per la rot­tura con Atene: “l’Fmi con­ti­nuerà a lavo­rare per restau­rare la sta­bi­lità delle finanze gre­che”, seguendo lo spi­rito di “fles­si­bi­lità” che, secondo la pre­si­dente, è stato la linea-guida finora. L’Fmi, che usato nei giorni scorsi toni minac­ciosi, adesso teme il default, che met­te­rebbe una croce sul suo cre­dito. Lagarde, che sogna di essere rie­letta alla testa dell’Fmi, dovrebbe spie­gare ai 188 paesi mem­bri come mai ha pre­stato tanti soldi a un paese cosi’ a rischio insol­venza, non rispet­tando le regole di pru­denza della “banca” Fmi. Per Lagarde, “serve un approc­cio bilan­ciato della crisi greca, con riforme strut­tu­rali da parte di Atene, men­tre le isti­tu­zioni, da parte loro, devono soste­nere il finan­zia­mento del paese e agire sul debito”.

Adesso il pro­blema è come gestirà la crisi nell’immediato la Bce, che aspetta tra l’altro per luglio e ago­sto un rim­borso da Atene di 6,7 miliardi. Al con­si­glio dei gover­na­tori una buona parte era da tempo molto cri­tica verso la “lar­ghezza” dell’Ela (liqui­dità di emer­genza) con­cessa da Dra­ghi. L’ultima offerta dei cre­di­tori, da pren­dere o lasciare, era pronta per l’Eurogruppo di ieri: sul tavolo c’era un finan­zia­mento di 15,3 miliardi e un pro­lun­ga­mento del piano fino a novem­bre in cam­bio della firma dell’accordo. Que­sto com­por­tava, oltre a un avanzo pri­ma­rio dell’1% (accet­tato da Atene), un calen­da­rio molto vin­co­lante di riforme (aumento dell’Iva, tagli alle pen­sioni, da appli­care subito dal 1° luglio, poi sop­pres­sione dell’Ekas dal 2019), alla cui ese­cu­zione erano stret­ta­mente legati i ver­sa­menti. Nei fatti, i soldi pro­messi dai cre­di­tori sareb­bero sol­tanto ser­viti a far fronte al rim­borso di Fmi e Bce.



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