I CONTROLLI DEI CAPITALI
Il primo passo della Grexit, dicono tutti, arriverà come un fulmine a ciel sereno durante un week- end, magari nemmeno troppo lontano. Quando davanti alla fuga di capitali dalle banche – negli ultimi tre giorni sarebbero spariti dai conti correnti altri 1,7 miliardi – e all’impasse dei negoziati, le autorità potrebbero decidere di imporre i controlli sui capitali. Cosa significa? Basta vedere quello che è successo a Cipro nel pieno della crisi un paio di anni fa: durante il fine settimana il governo ha annunciato che le banche non avrebbero riaperto il lunedì. E contemporaneamente ha messo un tetto di 300 euro al giorno ai prelievi, ha imposto un limite di 5mila euro ai fondi che si potevano portare all’estero e ha obbligato le società a giustificare tutte le transazioni superiori ai 200mila euro. Le banche di Nicosia sono rimaste chiuse un paio di settimane in attesa di un accordo tra la Troika e l’esecutivo. E i controlli di capitali stanno in piedi ancora oggi.
L’INTERVENTO SUL CAMPO
L’uscita della Grecia dall’euro è un passaggio pratico molto difficile da gestire anche sul campo. Atene, per fortuna dice qualcuno, ha tenuto i cliché e le vecchie rotative per stampare le dracme. La Fortress è pronta a dare una mano dalle sue aziende in Svizzera. Ma l’operazione richiede tempi lunghi (l’ultimo che l’ha fatto, l’Iraq, ci ha messo tre mesi) e l’intervento delle forze dell’ordine per il trasporto della divisa fresca di conio. Durante la crisi del 2012 la stampa inglese, mai smentita, ha parlato di aerei-cargo carichi di euro in contanti spediti da Italia e Germania alla Grecia per far fronte alla crisi di liquidità. Ora la Bce deve valutare fino a che punto può continuare a garantire liquidità alle banche elleniche. Senza soldi agli istituti, l’economia si ferma e il default si trasforma subito in tragedia sociale. Bruxelles deve fare i conti politici: studiando se provare a tenere Atene nell’euro (autorizzando l’emissione di una valuta parallela) e se accompagnare il default pilotato con prestiti straordinari che rendano il divorzio meno amaro.
LO SCUDO ANTI-CONTAGIO
Il king-maker, in questo caso ma non solo, è Mario Draghi. I danni collaterali della Grexit, Lehman docet, potrebbero travolgere tutto il continente, come testimoniano in queste ore le fibrillazioni dello spread. L’Europa, dicono in molti, è vaccinata contro il default di Atene. Spagna, Italia e Portogallo hanno fatto tante riforme da quel 2012 in cui erano il ventre molle della Ue. Ma soprattutto questa volta c’è sul tavolo l’assicurazione sulla vita: il Quantitative Easing della Bce. Una sorta di scudo stellare che dovrebbe proteggere Roma, Lisbona e Madrid in caso di corto circuito sotto il Partenone. La potenza di fuoco in mano a Eurotower è impressionante: la Bce comprerà 60 miliardi di titoli di Stato al mese, 1.200 miliardi nell’arco del programma. Quanto basterebbe, per dare un idea, per comprare quasi tutti i Bot, i Btp e i Ctz emessi dall’Italia in tre anni.
I tecnici di Eurotower simulano gli interventi necessari per arginare l’assalto della speculazione, scatenata quando sente odore di sangue. Le regole del Qe impongono acquisti pro-quota sui singoli bond nazionali. Ma si sta valutando come rendere più efficace possibile il bazooka di Draghi. Basterà? Qualcuno è scettico: Francoforte ha in mano un’arma potentissima. Hedge fund e squali del listini non sono però da meno. E il rischio è un braccio di ferro la cui vittima, alla fine sarebbe l’euro. Non a caso a Bruxelles in molti provano a volare più alto. L’eventuale uscita della Grecia dall’Europa, dicono gli euro ottimisti, deve essere accompagnata da un colpo d’acceleratore all’integrazione continentale per non lasciare da solo SuperMario. Visti i tentennamenti di queste ore sul tema immigrazione, in molti dubitano che questo sogno diventi realtà.