Come finanziare il reddito minimo e ridurre davvero le disuguaglianze
Negli ultimi giorni il dibattito sul tema del reddito minimo garantito o di cittadinanza, grande assente nel welfare italiano, si è fatto più acceso. Il premier Renzi nervosamente parla di uno strumento anticostituzionale e assistenzialista, mostrando un’enorme debolezza di fronte alle vere sfide della modernità. Il reddito minimo è uno dei compiti che l’Europa ci chiede da oltre un decennio e può essere uno strumento di politica economica molto efficace contro le disuguaglianze economiche e sociali che, secondo il rapporto Ocse «In It Together: Why less inequality benefits all», non fanno che aumentare dagli anni ’80, favorite dalla liberalizzazione del mercato del lavoro e dall’austerità.
L’Italia è, insieme alla Grecia, l’unico paese europeo a non disporre di nessuna forma di reddito minimo e vanta invece il sistema di welfare tra i più assistenzialisti e corporativi d’Europa: l’unica vera #voltabuona sarebbe allora invertire questa storica tendenza e realizzare un sistema di welfare universalistico.
Parlando di reddito minimo e/o di cittadinanza è necessario non soltanto chiedersi chi siano i destinatari, in che forma verrà erogato, ma anche in che modo finanziarlo; ed è proprio la questione del finanziamento a fare la differenza se vogliamo ristabilire più giustizia sociale e assumere la riduzione delle disuguaglianze come obiettivo politico.
Secondo la recente simulazione fatta dall’Istat e presentata dal Presidente Alleva in audizione al Senato, le proposte di legge di Sel e M5S, in discussione, costerebbero rispettivamente 23.5 e 15.4 miliardi di euro all’anno ed entrambe le misure, seppure in maniera diversa, concorrerebbero positivamente a ridurre le disuguaglianze, almeno stando all’indice di Gini.
Tuttavia, se da un lato si prova a ridurre lo scarto tra il soddisfacimento dei bisogni materiali di chi oggi vive al di sotto della soglia di povertà e il resto della popolazione, è necessario, dall’altro, evitare che chi vive con un reddito di poco superiore a tale soglia si assuma la responsabilità del finanziamento. Così facendo, infatti, la riduzione delle disuguaglianze si tradurrebbe soltanto in una “più equa” distribuzione della povertà o del rischio povertà per dirla à la Minsky, ma soprattutto non verrebbero messi in discussione i redditi e le ricchezze di quel 10% della popolazione che non soltanto non hanno accusato la crisi, ma si sono addirittura arricchiti durante questi anni.
Ripartire dalla redistribuzione della ricchezza sarebbe allora il primo passo, seppure non sufficiente, per ridurre le disuguaglianze e finanziare il reddito minimo. In Italia, il 10% più ricco della popolazione detiene il 46% della ricchezza privata totale, cioè quasi 4 mila miliardi di euro (fonte Banca d’Italia): imponendo su questi patrimoni una “tassa di solidarietà sulla ricchezza” dello 0.05%, le finanze pubbliche otterrebbero potenzialmente un gettito pari a circa 19 miliardi di euro ogni anno. Per ristabilire un principio di equità bisognerebbe introdurre anche una vera tassazione sulle successioni che sia di tipo progressivo e non di fatto inesistente, data la soglia di esenzione a un milione di euro prevista dalla legge italiana. Se il reddito minimo fosse finanziato attraverso tali risorse sarebbe possibile non soltanto ristabilire equità oggi, ma garantire in parte anche quella futura, riducendo la vulnerabilità alla povertà reddituale di tutti coloro che in balìa di un mercato del lavoro sempre più precario e instabile, non riescono tramite il mercato o le eredità a soddisfare i propri bisogni materiali. Bisogna però non cadere nell’inganno liberista che si serve del reddito minimo per attuare la svalutazione del lavoro in termini salariali, agevolata da politiche di flessibilità del mercato del lavoro, come il Jobs Act. In ragione di ciò, per aggredire i meccanismi che facilitano l’aumento delle disuguaglianze sarebbe necessario ripristinare le imposte sui profitti e introdurre quelle sulle rendite di vario tipo favorendo i redditi da lavoro pur mantenendo un’adeguata progressività della tassazione su questi ultimi.
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