Bank of China entra nel tempio londinese del «fixing» dell’oro

Bank of China entra nel tempio londinese del «fixing» dell’oro

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Il santuario londinese degli scambi di oro apre le porte alla Cina. Nel circolo ristretto delle banche incaricate di determinare l’Lbma Gold Price – la nuova versione del fixing – è stata ammessa anche Bank of China (Boc), che diventa così il primo istituto di un Paese emergente a partecipare alla formazione del benchmark in quasi un secolo di storia.
Il debutto inorgoglisce Yu Sun, alla guida della filiale britannica di Boc. «Bank of China è entrata nella London Bullion Market Association come membro iniziale nel 1987 e per oltre quarant’anni ha partecipato attivamente agli scambi di oro a Londra – ha ricordato il manager – . Ma la Cina non ha mai avuto un ruolo rilevante nel fixing, nonostante sia il maggior produttore e consumatore di oro del mondo».
Il fixing non è più il rituale di un tempo, quando un piccolo gruppo di banchieri si riuniva due volte al giorno tra le pareti di legno di un ufficio della N.M. Rothschild & Sons, alzando bandierine britanniche per approvare quello che ritenevano fosse il “giusto prezzo” dell’oro. Dieci anni fa le discussioni erano già migrate sulla linea telefonica. E dallo scorso marzo, travolto dai sospetti di manipolazione, il fixing è diventato il frutto di contrattazioni reali, su una piattaforma elettronica gestita da Ice Benchmark Aministration (Iba) e strettamente vigilata dall’autorità di mercato britannica, la Fca.
Il meccanismo resta comunque tuttora in mano a pochi istituti: otto soltanto, compresa Bank of China. Gli altri – tutti protagonisti storici dei mercati auriferi – sono Barclays Bank, Goldman Sachs, Hsbc, JP Morgan, Société Générale, Bank of Nova Scotia e Ubs.
L’ingresso dei cinesi è un segno dei tempi. Pechino ha ormai assunto un ruolo dominante nel mercato dell’oro: oltre ad essere il primo produttore minerario nel mondo, contende all’India il primato dei consumi e i due Paesi insieme rappresentano oltre la metà della domanda aurifera globale. Un peso che secondo James Steel, senior analyst di Hsbc, oggi si da sentire in modo particolare: «Durante il rally dell’oro era soprattutto la domanda degli investitori a dare l’intonazione al mercato – osserva – Adesso invece a influenzare la direzione dei prezzi è la domanda di gioielleria nei mercati emergenti di Cina e India».
Pechino comunque non si accontenta. Il suo obiettivo è diventare più influente nella formazione dei prezzi e la partecipazione all’Lbma Gold Price è solo un primo passo, benché importante – come ha sottolineato Yu di Bank of China – «per rafforzare la connessione tra il mercato domestico cinese e quelli internazionali». La prossima mossa, ormai dietro l’angolo, è la creazione di un riferimento di prezzo cinese, denominato in yuan e funzionale al piano di promuovere la valuta nazionale al rango di valuta di riserva, come il dollaro, l’euro e lo yen. La Shanghai Gold Exchange – che ha già avviato una piattaforma di scambi di oro fisico aperta a operatori stranieri – ha avviato la fase di test con l’obiettivo di avviare il benchmark “cinese” entro fine anno.



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