Attacco hacker al governo americano
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WASHINGTON I ladri di dati sono passati all’azione alla fine dell’anno usando un grimaldello sconosciuto. Sono entrati nel database dei dipendenti federali Usa e ne sono usciti con 4 milioni di file. Un’intrusione clamorosa degli hacker. Cinesi, accusano alcune fonti, mentre la Casa Bianca prende tempo e dice sono i soliti «ignoti». Magari pirati legati ad un apparato parallelo al famoso Terzo Dipartimento dell’esercito e all’Unità 61398, reparti specializzati in questo tipo di operazioni.
La sorpresa è stata ancora più forte in quanto l’assalto è stato scoperto con molto ritardo. Il sistema «Einstein» che dovrebbe fare da sentinella si è accorto della breccia in aprile ed un mese dopo ha concluso che il danno era enorme. Ma non quantificabile. C’è chi teme sia ben peggiore: la Casa Bianca, avvisata, attende gli esiti. Trovato il «buco», Fbi e Homeland Security, rinforzate dalla Nsa, hanno iniziato le indagini. Gli hacker — secondo quanto rivelato dai media — hanno puntato all’archivio che conserva le informazioni di 2 milioni di impiegati federali, più quelli dei funzionari in pensione. Ed hanno succhiato i profili di chiunque lavori in un ministero o ente governativo. Ma cosa ne faranno del bottino? Lo useranno per organizzare eventuali azioni di spionaggio, lanciare ricatti, preparare manovre impiegando le identità rubate. Un’estensione di un altro attacco, avvenuto nel 2014. In quell’occasione i corsari, sempre pilotati da Pechino, si sono impossessati di altri nominativi, scoprendo chi è in possesso del nulla osta a trattare informazioni sensibili. È possibile che siano riusciti a smascherare la copertura di scienziati e personaggi coinvolti in programmi top secret. Notizie sommate ad altre saccheggiate negli archivi di grandi società del settore sanitario.
Si tratta di dettagli a lungo cercati dai servizi di Pechino. Una storia poco nota lo conferma. Nel 2007, Lizhong Fan, cittadino cinese ingaggiato dal centro anti terrorismo dell’Arizona, avrebbe carpito informazioni di 5 milioni di cittadini. Li ha «caricati» su due computer e tre hard drive, malgrado i suoi colleghi avessero l’ordine di tenerlo d’occhio anche quando andava al bagno. Viene da chiedersi che bisogno avessero di uno straniero in un ufficio così delicato. Però è successo, così molti altri episodi di un duello dove le sciabolate si prendono e si danno.
Gli Usa hanno colpito con virus gli impianti nucleari in Iran e hanno riprovato a farlo con la Corea del Nord. La Nsa, in nome della lotta agli hacker, ha messo sotto controllo americani e stranieri, entrando nelle loro vite in modo ancora più esteso. I russi hanno preso di mira grandi catene commerciali Usa. Poi intrusioni in Casa Bianca e Dipartimento di Stato con sospetti rilanciati su Mosca e Pechino. Seguiti dalle consuete smentite. Per i cinesi sono accuse «infondate e irresponsabili…gli americani farebbero meglio a pensare a rapporti basati sulla fiducia».
Guido Olimpio
La sorpresa è stata ancora più forte in quanto l’assalto è stato scoperto con molto ritardo. Il sistema «Einstein» che dovrebbe fare da sentinella si è accorto della breccia in aprile ed un mese dopo ha concluso che il danno era enorme. Ma non quantificabile. C’è chi teme sia ben peggiore: la Casa Bianca, avvisata, attende gli esiti. Trovato il «buco», Fbi e Homeland Security, rinforzate dalla Nsa, hanno iniziato le indagini. Gli hacker — secondo quanto rivelato dai media — hanno puntato all’archivio che conserva le informazioni di 2 milioni di impiegati federali, più quelli dei funzionari in pensione. Ed hanno succhiato i profili di chiunque lavori in un ministero o ente governativo. Ma cosa ne faranno del bottino? Lo useranno per organizzare eventuali azioni di spionaggio, lanciare ricatti, preparare manovre impiegando le identità rubate. Un’estensione di un altro attacco, avvenuto nel 2014. In quell’occasione i corsari, sempre pilotati da Pechino, si sono impossessati di altri nominativi, scoprendo chi è in possesso del nulla osta a trattare informazioni sensibili. È possibile che siano riusciti a smascherare la copertura di scienziati e personaggi coinvolti in programmi top secret. Notizie sommate ad altre saccheggiate negli archivi di grandi società del settore sanitario.
Si tratta di dettagli a lungo cercati dai servizi di Pechino. Una storia poco nota lo conferma. Nel 2007, Lizhong Fan, cittadino cinese ingaggiato dal centro anti terrorismo dell’Arizona, avrebbe carpito informazioni di 5 milioni di cittadini. Li ha «caricati» su due computer e tre hard drive, malgrado i suoi colleghi avessero l’ordine di tenerlo d’occhio anche quando andava al bagno. Viene da chiedersi che bisogno avessero di uno straniero in un ufficio così delicato. Però è successo, così molti altri episodi di un duello dove le sciabolate si prendono e si danno.
Gli Usa hanno colpito con virus gli impianti nucleari in Iran e hanno riprovato a farlo con la Corea del Nord. La Nsa, in nome della lotta agli hacker, ha messo sotto controllo americani e stranieri, entrando nelle loro vite in modo ancora più esteso. I russi hanno preso di mira grandi catene commerciali Usa. Poi intrusioni in Casa Bianca e Dipartimento di Stato con sospetti rilanciati su Mosca e Pechino. Seguiti dalle consuete smentite. Per i cinesi sono accuse «infondate e irresponsabili…gli americani farebbero meglio a pensare a rapporti basati sulla fiducia».
Guido Olimpio
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