Via libera all’Italicum Opposizioni fuori, no da metà sinistra pd
by redazione | 5 Maggio 2015 9:21
ROMA L’immagine plastica della Camera che ha approvato definitivamente l’Italicum è tutta in un fotogramma: quello scattato subito dopo il voto, con i deputati renziani del Pd trionfanti che lasciano l’Aula (di tutt’altro umore i 45-50 dissidenti dem) e i grillini silenziosi che rientrano nell’emiciclo in fila indiana. Tutto intorno, i banchi vuoti di Forza Italia e di Sel.
In termini numerici, il Parlamento a metà che ha approvato la legge elettorale fortissimamente voluta da Renzi conta 334 voti favorevoli, 61 contrari e 4 astenuti. I numeri erano già scolpiti da tempo. Ma, visto che Forza Italia e Lega pur disertando l’Aula hanno chiesto il voto segreto, parte la caccia al calcolo di quanti sono realmente i dissidenti del Pd. Solo questa lotteria dà emozioni forti mentre tutto il resto scorre via senza grandi slanci oratori in Aula e interventi dei big dei partiti.
Alla fiducia la maggioranza aveva ottenuto 352 voti. Ieri ne ha presi 18 di meno che sommati ai 38 dem contrari alla fiducia porterebbero il dissenso in casa di Renzi a quota 56. Su 310 deputati. Tuttavia, subito dopo l’approvazione dell’Italicum sono partite le analisi contrapposte del voto.
La minoranza pd ha confermato il dato dei 56: «Il dissenso è stato abbastanza ampio, è un dato politico», ha azzardato l’ex segretario Pier Luigi Bersani che (al contrario di Civati, Fassina, Lattuca, Meloni) ha scelto di non intervenire in Aula mentre i prodiani Zampa e Monaco si sono fatti riconoscere con l’astensione. Invece, il vicesegretario del partito, Lorenzo Guerini, ha ridotto il dissenso interno a «una quarantina di deputati»: «Non faccio numeri però considerate il no dei 9 ex grillini, di Nunzia De Girolamo, di Saverio Romano, di Corsaro e di altri e vedrete che dovremo parlare di una quarantina di voti mancanti al Pd», ha argomentato il numero due del partito.
Tra i no dichiarati, infatti, ci sono anche quelli di Corsaro (Misto, ex FdI), Pili (ex Pdl), Pastorino (ex Pd), Fava (ex Sel), Pisicchio (ex Cd, presidente del gruppo misto), Romano (FI) e quello di Nunzia De Girolamo (Area popolare). E fanno sette. A questi, però, la maggioranza del Pd aggiunge anche i nove fuoriusciti del Movimento Cinque Stelle rimasti in Aula ma sul loro voto contrario alla legge non c’è alcuna certezza.
Metabolizzata la minoranza del Pd, Matteo Renzi può dunque metter la parola fine a questa partita molto impegnativa. E lo fa ringraziando chi gli è rimasto vicino nel partito, magari anche turandosi il naso davanti alla formula Italicum e al patto del Nazareno con FI che lo ha partorito: «Sono orgoglioso della vostra fiducia e che la politica si sia dimostrata all’altezza delle sfide. Siete voi il cambiamento che stavamo aspettando, state scrivendo una pagina storica del Paese». E ora, non ha dimenticato di ricordare Renzi, «il nodo» è la riforma del Senato.
Il ministro Maria Elena Boschi assicura che «l’Italicum funziona ed è costituzionale» e non dimentica la polemica con Bersani: «Peccato che non rispetti la Ditta…». Ma Renato Brunetta (FI), che ha decretato l’Aventino degli azzurri pur faticando molto a tenere a bada fittiani e verdiniani che volevano (per motivi opposti) votare, pronostica che «al Senato Renzi non ha i numeri». Scelta civica ricorda a Renzi che i suoi 24 voti sono stati determinanti per non cadere sotto soglia 315. E i grillini, più ordinati che mai in Aula, affidano al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella l’ultimo appello: «Non firmi questa legge oscena», dice Danilo Toninelli nella sua dichiarazione di voto in Aula.
Infine vale la pena riportare la dichiarazione di Roberto Calderoli (Lega), che inventò il Porcellum approvato a suo tempo con 323 voti: «Al peggio non c’è mai fine, è arrivato il Porcellissimum».
Dino Martirano